Preoccupa la variante inglese nell’andamento dell’epidemia da Coronavirus. Ma se la Gran Bretagna può contare su 15 milioni di vaccinati, l’Italia rischia di pagare il prezzo dei suoi ritardi.
Secondo l’Istituto superiore della Sanità, in Italia almeno un caso su cinque è positivo alla variante inglese del Coronavirus. Per questo, consiglia l’Iss, “considerata la circolazione nelle diverse aree del paese “si raccomanda di intervenire al fine di contenere e rallentare la diffusione della variante, rafforzando o innalzando le misure in tutto il paese e modulandole ulteriormente laddove più elevata è la circolazione, inibendo in ogni caso ulteriori rilasci delle attuali misure in atto“. L’Istituto superiore di sanità, stando ad un’indagine svolta lo scorso 4-5 febbraio, mette in allarme sui rischi derivanti dalla diffusione della variante del virus ed è proprio in considerazione di tale fattore che molti esperti consigliano un lockdown totale, mettendo in allerta su una possibile deriva della situazione epidemiologica.
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Secondo il ricercatore Marco Gerdol dell’Università di Trieste, intervistato da Open, non è detto che la variante sia nata in Inghilterra, ma ciò che è certo è che i circa tre quarti di genomi sequenziati in Europa arrivano dal Regno Unito, dove esiste un sistema di sorveglianza elevata rispetto ad altri Paesi nei quali, per assenza di sistemi efficaci di controllo, risulta difficile scoprire la vera origine della cosiddetta variante inglese, isolata il 20 settembre scorso. Non c’è però al momento nessuna evidenza che dimostri che tale variante sia più contagiosa di altre ma a preoccupare è l’aumento proporzionale del numero dei casi dovuti alla stessa, che fa ipotizzare una contagiosità più elevata. Sta di fatto, che il problema riguarda monitoraggio, cure e vaccini, che potrebbero dimostrarsi inefficaci. Dal punto di vista della prevenzione, spiega Gerdol, poco cambia al cittadino: protezioni, mascherine, distanziamento rimangono comunque le armi più efficaci per prevenire il rischio di contrarre l’infezione.
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15 milioni di vaccinati
Ciò nonostante, la Gran Bretagna può contare su un alto numero di vaccinati, che hanno superato quota 15 milioni. Il Regno Unito può così vantare un primato d’Europa nella fornitura della prima dose di vaccino e, secondo i dati aggiornati dal ministro Nadhim Zahawi, sarebbero 15,1 milioni le prime dosi e 535.000 i richiami. Intanto, gli effetti iniziano ad essere visibili dal momento che calano i casi di positività al virus così come il numero giornaliero dei decessi. “Oggi abbiamo raggiunto un traguardo importante nel programma nazionale di vaccinazione. Questo Paese ha compiuto un’impresa straordinaria, somministrando 15 milioni di dosi di vaccini ad alcune delle persone più vulnerabili”, esulta il Premier Boris Johnson via Twitter.
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Non può dire lo stesso l’Italia, che rischia di pagare il peso dei suoi ritardi. Secondo i dati ufficiali, sono 1.289.059 le persone vaccinate con due dosi, pari al 2,14% della popolazione. Un po’ di più, quelle vaccinate con la prima dose, pari a 1.768.073 persone, cioè il 2, 93% della popolazione. Se nel resto del mondo i piani vaccinali corrono – come in Israele, Germania o in America – l’Italia fatica a stare al passo e a dirlo sono proprio i numeri che mostrano un andamento lentissimo. L’evidenza si era palesata già dopo pochissimi giorni l’arrivo dei vaccini, senza parlare dei ritardi nelle consegne che hanno rallentato l’iter di somministrazioni.
A che punto siamo?
L’arrivo di AstraZeneca ha determinato un nuovo cambio di rotta e il piano elaborato dal commissario straordinario per l’emergenza Domenico Arcuri è cambiato. Sono state infatti aggiornate le categorie e l’ordine di priorità per l’attuazione della Fase 2 del Piano vaccinale in Italia, sulla base delle evoluzione dei criteri e sull’aggiornamento dei dati scientifici a disposizione. Quindi, vaccini più efficaci alle categorie più a rischio; mentre AstraZeneca sarà riservato ai soggetti di età compresa tra i 18 e i 55 anni. L’efficacia dell’ultimo vaccino è stata dimostrata leggermente inferiore agli altri due, ma comunque valida. Attualmente ci troviamo nella fase uno: l’Italia sta vaccinando personale sanitario, personale delle Rsa e ospiti delle strutture.
La seconda fase, anche in seguito alle modifiche, riguarderà categorie con patologie critiche correlate al tasso di letalità associata a Covid-19. Si tratta, cioè, di pazienti con malattie respiratorie, cardiocircolatorie, condizioni neurologiche e disabilità, diabete, fibrosi cistica ed altre malattie a grave rischio. Il nuovo documento prevede tra le fasce prioritarie nella fase 2 anche gli over -70. Nella fase 3 toccherà al personale docente e non docente, forze armate e di polizia, i penitenziari, i luoghi di comunità e gli altri servizi essenziali, circa 3.894.847 persone. Ma proprio il documento prevede che tutte queste categorie possano anticipare la vaccinazione alla fase 1. Praticamente, adesso. Nella fase 3, quindi, riceveranno le dosi i soggetti compresi tra i 18 e i 55 anni. Infine, la quarta fase sarà riservata agli over 16, utilizzando le dosi rimaste a disposizione.