Importa davvero che un Ministro sia donna, oppure la priorità dovrebbe essere la competenza? La battaglia delle quote rosa portate avanti dal PD si è risolta in un nulla di fatto. Su otto ministre del neonato governo Draghi, ci sono tre “tecniche”: Luciana Lamorgese, Marta Cartabia e Maria Cristina Messa. La prima all’Interno, la seconda alla Giustizia, la terza all’Università. Ci sono poi Mara Carfagna come Ministro per il Sud e Maria Stella Gelmini agli Affari Regionali, entrambe di Forza Italia. C’è poi la leghista Erika Stefani come Ministro della disabilità; la pentastellata Fabiana Dadone alle politiche giovanili; Elena Bonetti, di Italia Viva, rimasta dov’era alle Pari Opportunità. Non c’è nessuno, invece, del Partito democratico. E pensare che proprio le quote rosa sono state una battaglia portata avanti dalla sinistra. Eppure Nicola Zingaretti non ha spinto nessuna donna delle “sue” come ministro. E non è mica un errore.
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I criteri per scegliere i Ministri dovrebbero essere competenza e professionalità, più che questione di genere. La battaglia femminista si è spenta in una sterile polemica di genere. Ciò che serve è capacità di leadership, la capacità di governare, programmare, decidere, servire gli interessi del Paese. Dovrebbe essere così per il PD e per gli altri partiti. Ed è vero, certamente, che portare donne al governo vuol dire agire in nome della parità e dell’uguaglianza sul lavoro per spazzare via l’idea malsana che le donne non possano ricoprire ruoli istituzionali forti e importanti. Ma l’appartenenza di genere non dovrebbe essere presupposto esclusivo per giudicare la competenza. Rischieremmo, se così fosse, di ritrovarci ad essere governati da tutte donne e tutte eventualmente incapaci.
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E’ accaduto, invece, che inaspattatemente è stato il centrodestra a puntare sul “rosa”. Maria Elisabetta Alberti Casellati è di Forza Italia, così come Mara Carfagna. E ci sono anche le Presidenti di Regione come Donatella Tesei, governatrice dell’Umbria e la defunta Jole Santelli, numero uno della Regione Calabria. Giorgia Meloni è inoltre l’unica donna in Italia a guidare un partito. E allora che senso ha di essere la polemica sulle quote rosa? Il problema, forse, andrebbe ricercato nelle capacità, non nei numeri. Guardandoci intorno, di donne ce ne sono. E se non sono a sinistra, almeno non tutte, allora vuol dire che è l’ideale di sinistra a perdere di peso. A nulla serve la furia di Lia Quartapelle, e neanche le lamentele di Laura Boldrini . L’identità progressista del Pd è insomma sfumata; ma come già detto la questione riguarda la mente, non il sesso.
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