Dal modo in cui è stato insediato alla scelta dei ministri, sul governo Draghi c’è una certezza: ha messo all’angolo i populisti, di destra e non. La Lega ha dovuto reinventarsi, sfruttando l’ala interna più governista, mentre il M5s – colto impreparato – è ora posto di fronte la sua contraddizione interna. Una contraddizione che potrebbe a breve trasformarsi in una scissione.
Il governo Draghi ha messo all’angolo i populisti. E questo è un dato di fatto, al netto del grande mistero che ancora aleggia attorno al nuovo esecutivo (partendo dal programma). La squadra di governo blinda il Recovery con dei tecnici altamente specializzati, e tra le figure politiche sceglie profili “istituzionali”, moderati e convintamente europeisti. Così vengono silenziate le voci più ortodosse del Movimento, quelle generalmente riconosciute come “populiste”. Gli scossoni interni, certo, attraversano tutti i partiti: Forza Italia deve fare i conti con l’ala filo-leghista; il Pd deve affrontare le correnti più di sinistra, che soffrono ancora un governo con la Lega; la Lega deve abbandonare il suo approccio populista e sovranista per abbracciare il fronte padano, industriale e governativo; LeU deve scegliere tra compromesso e rivendicazione di un’identità di sinistra.
Ma in primis il M5s deve fronteggiare un terremoto interno che rischia di far franare tutto. Mentre per il Pd e per LeU il problema è di carattere politico (destra vs sinistra), per il M5s i dolori riguardano l’origine stessa del Movimento: il suo essere espressione di un populismo anti-establishment che, dopo progressivi cedimenti e aggiustamenti, ora dovrà accettare di far parte di un governo guidato dall’ex presidente della Bce, dal profilo tecnico e europeista. Una débacle totale, che non può neanche esser paragonata ai malumori interni del Pd, contrari a un’alleanza con la Lega. In quel caso il punto riguarda una forza politica interna alla maggioranza. Nel caso del M5s, la crisi è scatenata da questo governo in sé.
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I segni della frattura
Come già evidenziato, la Lega è riuscita a sfruttare per opportunismo un’anima che già faceva parte del partito, anzi antecedente alla figura di Salvini. Il M5s invece si è adeguato pian piano a una progressiva istituzionalizzazione, e lo ha fatto sul campo, una volta entrato nelle Camere. Non ha delle radici storiche in grado di accettare un compromesso di questo tipo, di indorare la pillola. E questo deficit appare ora evidente. Per la prima volta attivisti e parlamentari del M5s chiedono di votare nuovamente su Rousseau. E cioè di rimettere il discussione l’esito della prima votazione, che aveva dato il via libera a una partecipazione del Movimento al governo Draghi. Le riunioni di senatori e deputati si infuocano, i contrari al governo Draghi aumentano. Soprattutto in virtù della distribuzione dei ministeri: il M5s ha capito di esser stato marginalizzato. Mentre Di Maio, Patuanelli, Dadone e D’Incà prestano giuramento per il nuovo esecutivo, una parte sempre più crescente del Movimento si oppone alla fiducia in Parlamento.
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Al centro della discussione, anche e soprattutto il quesito posto sulla piattaforma Rousseau, effettivamente tendenzioso: “Sei d’accordo che il Movimento sostenga un governo tecnico politico che preveda un super-ministero della Transizione ecologica?“. Oltretutto, quel super-ministero si è poi rivelato un ministero, affidato non a un esponente 5 stelle. Ora i consiglieri comunali lombardi lanciano una petizione per votare nuovamente. Intanto Barbara Lezzi scrive a Beppe Grillo, a nome di diversi parlamentari. Tra i contrari anche il presidente della Commissione antimafia Nicola Morra: “Il Movimento o torna a essere Movimento o sparirà. Ci sarà a breve l’elezione dell’organo collegiale, si spera, e vediamo di capire se si può cambiare questa direzione di marcia. Altrimenti non possiamo far altro che evaporare”. Beppe Grillo risponde indirettamente con un post sul blog, nel quale scrive: “Da oggi si deve scegliere. O di qua, o di là“. O con il governo Draghi o contro di lui, ma fuori dal Movimento.