Nella giornata di ieri il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi ha sciolto la riserva e annunciato la lista di ministri che andranno a comporre il nuovo esecutivo, nel pieno rispetto aritmetico della composizione di maggioranza. Ma a livello politico, come farà una maggioranza così vasta e variegata a trovare una quadra?
Nella giornata di ieri il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi ha sciolto la riserva e annunciato la squadra di ministri del nuovo esecutivo, facendo emergere una nuova evidenza: la composizione della maggioranza è stata rispettata in senso aritmetico, anche se i ministeri rilevanti sono stati affidati ai tecnici. Scansata, quindi, l’ipotesi di un governo meramente tecnico, un’ipotesi sollevata da molti commentatori proprio in virtù dell’eterogeneità di questa maggioranza: è troppo ampia, troppo variegata, Draghi non potrà accontentare tutti, il governo avrà un profilo tecnico, si diceva. Ecco, quella premonizione sembra al momento confutata: sono 4 i ministri per M5S, 3 ciascuno per il Pd, la Lega e Forza Italia, 1 per Leu e Italia Viva. I tecnici, invece, sono 8. Insomma, all’apparenza sembra che la politica nel nuovo governo Draghi ci sia, e soprattutto che sia rappresentativa (la politica c’è sempre, anche nei governi tecnici, solo che non è rappresentativa). Sottolineo “all’apparenza” perché i ministeri strategici di primo piano, quelli legati al Recovery, restano in mano ai tecnici. Così dall’analisi della squadra di governo è già possibile fornire una prima sommaria risposta alla domanda che ci assilla da giorni: con una maggioranza così diversificata, Draghi tenderà ad accontentare tutti per tenerseli stretti o ad ignorare tutti, ammantandosi di un profilo tecnico? La questione si ripropone anche nella composizione della squadra di governo, e non è una questione da poco.
Dall’analisi dei ministeri, si potrebbe dire che Draghi abbia optato per una via di mezzo: i partiti verranno accontentati tutti, proporzionalmente al loro peso in Parlamento, ma non fino in fondo. Le scelte di rilievo verranno prese dai tecnici di stretta fiducia del premier (come Daniele Franco al ministero dell’Economia): i soldi della gestione del Recovery possono essere inscritti nel triangolo Economia-Transizione ecologica-Innovazione digitale, tutti in mano a tecnici di stretta fiducia. Ai ministri politici saranno lasciati ministeri in questo momento di secondo piano, a volte anche senza portafoglio. Su quindici ministri politici, il M5S esprime quattro ministri (due con portafoglio e due senza, cioè senza una struttura ministeriale alle spalle), il Partito Democratico tre (con portafoglio), Forza Italia tre (senza portafoglio), la Lega tre (due con portafoglio, uno senza), Liberi e Uguali uno (con portafoglio) e Italia Viva uno (senza portafoglio). In questo modo si può anche gettare uno sguardo su quale sarà l’indirizzo di Draghi in generale: accontentare tutti, sì, ma le cose importanti da fare con urgenza non saranno in mano ai politici. In questo modo si assicura una gestione il più possibile indipendente dell’emergenza e dall’altro lato vincola le forze politiche a questo esecutivo, offrendo loro più posti di quanti si aspettassero.
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L’effetto di questa linea lo si può tastare già dai primi umori emersi all’interno dei partiti all’annuncio dei ministri: i mal di pancia sono tanti, anche se in misura differente. Nessuno si lamenta platealmente, ma nessuno è contento fino in fondo. E forse su questa linea di compromesso si muoverà il futuro esecutivo. Il Movimento ha quattro ministri ma perde il Mise, che passa alla Lega. Fabiana Dadone invece passa dalla Pubblica amministrazione alle Politiche giovanili, un ministero dal peso inferiore. Anche se – va specificato – il ministero degli Esteri resta a Di Maio. Ma pesa anche quel dicastero della Transizione ecologica non in mano ai 5 Stelle. La Lega intanto sembra ottenere posti di rilievo, e anche questa è una manovra studiata: se vuoi tenerti stretto qualcuno che potrebbe voltarti le spalle, dagli spazio. Ma dagli spazio con intelligenza. I posti offerti alla Lega sono attribuiti all’ala meno sovranista e più “imprenditoriale” del partito, si pensi a Giancarlo Giorgetti allo Sviluppo economico. Così vince la Lega ma inizia a perdere Matteo Salvini.
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Poi i grandi malumori di Forza Italia, in cui vince la linea più lontana all’ala leghista. Brunetta appare alla Pubblica amministrazione, anzi, ci ritorna, dopo l’ultimo governo Berlusconi. Seguono Maria Stella Gelmini alle Autonomie e Mara Carfagna al Sud. Eppure, stando a quanto riportato dall’Huffpost, la questione più spinosa riguarda l’assenza di portafoglio. Un dirigente forzista avrebbe confessato dietro le quinte: nessun portafoglio, “tre ministeri minori, e con gli stessi numeri parlamentari o quasi della Lega”. Tanto che si vocifera di una chiamata di Berlusconi a Mario Draghi. D’altronde, verrebbe da dire, perché attribuire ministeri di importanza o dicasteri a chi ha già giurato fede eterna? Meglio darli a chi potrebbe operare un voltafaccia, e scegliere all’interno di quella compagine l’ala più vicina alle proprie posizioni (meno Salvini, più Giorgetti, sembra emergere). Insomma, Draghi metterà d’accordo tutti? No, ma non scontenterà mai nessuno abbastanza. Così il governo cercherà di restare in piedi.
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