Possono governare insieme FI e M5s ? E se rimane anche Arcuri è un disastro

Più passano le ore, più aumentano i dubbi sulla reale qualità del governo di Mario Draghi. Una maggioranza piena di incompatibilità, ed alcune conferme inaccettabili.

In un momento in cui si assiste alla celebrazione praticamente bipartisan – e anche mediatica, a parte qualche voce discordante – del nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi, è necessario soffermarsi sul primo risultato politico raggiunto dal suo governo. E cioè, la composizione stessa della squadra di ministri: un esecutivo di “alto livello”, almeno come avrebbe dovuto essere nelle intenzioni del presidente della Repubblica Segio Mattarella.  Il risultato però non ci sembra all’altezza delle aspettative: l’impressione è che il nuovo primo ministro sia stato fin troppo convincente con i partiti, trovando una maggioranza veramente molto ampia. Da Leu alla Lega, passando per PD, M5S, Italia Viva e Forza Italia. Per non citare i gruppi minori. Un’accozzaglia (ci scusiamo per il termine, ma onestamente non ne troviamo altri) di visioni politiche, obiettivi e storie che ci ha messo relativamente poco a dire di si a Draghi, ma che potrebbe altrettanto in fretta voltargli le spalle.

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Davvero le capacità ed il carisma di Draghi (e i 209 miliardi del Recovery Fund) sono in grado di mettere d’accordo i grillini e Forza Italia? O creare una sintesi tra la visione della società del Pd e quella della Lega? Tutto è possibile: siamo in emergenza come mai non lo siamo stati, sia dal punto di vista sanitario che economico-sociale. Che ci sia coesione è scontato. Ma quello che è tenuto a fare Draghi non si limita al tamponare: il governo in carica da oggi deve costruire. Deve decidere, nei limiti imposti dall’Unione Europea, come investire la più elevata quantità di denaro che viene immessa nelle nostre disponibilità dai tempi del Piano Marshall. E’ una roba che riguarda la politica, non i tecnici. E la visione politica di Forza Italia, ad esempio, è molto diversa da quella del Movimento 5 Stelle.

Domenico Arcuri e Giuseppe Conte

Poi c’è un altro aspetto che crea un senso di delusione, almeno in queste primissime battute: l’assenza di una reale discontinuità. Le scelte di Mario Draghi, più che suggerire un reale cambio di passo, hanno indicato più che altro la necessità di soddisfare le esigenze di tutti i partiti della maggioranza. Tanti partiti, tante esigenze. La conferma, ad esempio, di Luigi Di Maio agli Esteri e di Roberto Speranza alla Sanità non convincono. Ma c’è un indizio ancora più forte che potrebbe indicare le reali intenzioni di Draghi, le reali potenzialità innovatrici del suo governo: la decisione sul destino di Domenico Arcuri.

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L’attuale super commissario all’emergenza, nonchè responsabile del piano di distribuzione dei vaccini, di quello degli anticorpi monoclonali e anche commissario alla riapertura delle scuole è un pò il simbolo della gestione della pandemia. Una figura associata a quella del premier uscente Conte, come è normale che sia. Con responsabilità simili: al netto della difficoltà oggettiva di dover gestire un evento clamoroso ed inaspettato, il risultato della sua gestione è sotto gli occhi di tutti. Il piano vaccinale già in ritardo (e le polemiche sui padiglioni per la campagna di vaccinazione), il caos della riapertura a singhiozzo delle scuole, il tilt dei tamponi e dei tracciamenti tra fine settembre e novembre, l’inchiesta sulle mascherine “farlocche”. E comunque il numero di morti altissimo, ed i casi (e le nuove vittime) che calano con enormi difficoltà. E’ tutta colpa di Arcuri? No, certo. Ma esistono delle responsabilità, dei ruoli e delle conseguenze: se non c’erano più le condizioni per un governo Conte, è giusto che il cambiamento sia dunque complessivo, e coinvolga anche le figure apicali scelte da Conte. Ovviamente, anche al netto dei risultati ottenuti.

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