Pronunciati i nomi della nuova squadra del governo Draghi, una realtà appare evidente: la distribuzione dei posti è stata fatta, aritmeticamente parlando, con il bilancino. E in questo senso sembra proprio che Draghi e Mattarella abbiano seguito il famoso Manuale Cencelli (prima Repubblica).
I ministri del governo Draghi saranno in tutto 8 tecnici e 15 politici. Proprio a proposito politici, al netto di polemiche e sorprese, è stata notata una tendenza: il numero di posti attribuito a ogni forza politica è rispettoso di quanto stabilito dal Manuale Cencelli. Tanto che ora Massimiliano Cencelli, ex funzionario Dc e inventore del metodo, dice ora ad Adnkronos: “La lista dei ministri del governo Draghi in linea di massima rispecchia il mio manuale… Sono 3 del Movimento 5 stelle, 3 del Pd, tre di Forza Italia…. Draghi ha applicato al 50% il manuale Cencelli e al 50% ha riesumato tutti i ministeri che erano stato chiusi”. Cencelli cinquant’anni fa formò i criteri di suddivisione di pesi tra i partiti che entrano a far parte di una maggioranza, e ora il risultato sembra rispecchiare il vademecum Cencelli: i politici sono il doppio meno uno rispetto ai tecnici, con quattro ministeri per il M5s, tre a testa per Pd, Lega e Fi, uno a Italia viva e LeU. E l’equilibrio trovato vede i quattro ministeri ai 5 stelle in virtù del 32,7% ottenuto alle politiche del 2018; mentre i tre ministeri a Partito Democratico, Lega e Forza Italia, rispecchiano rispettivamente il 18,7%, 17,4%, 14%. Infine il ministero a LeU rispecchia il 3,4% e quello a Italia viva non rispecchia i voti delle elezioni perché semplicemente Italia viva si è formata dopo, in Parlamento.
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Eppure, la politica non è fatta solo di numeri. Tra i 5 stelle imperversa il malcontento per lo scarso peso degli incarichi ottenuti (fatta eccezione per Di Maio), e soprattutto per la scelta delle persone: tutte le scelte sembrano confermare l’intenzione di tenere lontana l’ala più ribelle del Movimento, e anche quella contiana. Così come risulta evidente l’intenzione di abbracciare la base “industriale” della Lega, con la nomina di Giorgetti allo Sviluppo economico. Ma a pesare, anche all’interno del Movimento, è soprattutto l’antigrillismo espresso dalle scelte: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è Roberto Garofoli, capo di gabinetto del ministro Tria al momento del Conte I, quando i toni salirono per le resistenze del Mef nei confronti del reddito di cittadinanza studiato dal M5s: i conti non tornavano. L’altra figura al centro di quello scontro fu Daniele Franco, attuale ministro dell’Economia. Per non parlare poi di Vittorio Colao, ora all’innovazione tecnologica, al tempo archiviato da Conte che gli aveva affidato il famoso Piano Colao, poi sparito nel nulla. Insomma, l’equilibrio matematico forse c’è. Quello politico un po’ meno, e il piano inclinato è quello dei grillini.