La votazione sull’adesione del Movimento 5 Stelle al governo Draghi ha nuovamente posto l’accento sulla democraticità dei processi decisionali che passano attraverso la piattaforma Rousseau.
Poco più di 70mila voti (74.537 per la precisione), che hanno garantito il 59,3 % di “si” alla domanda sull’adesione del Movimento 5 Stelle alla maggioranza di governo di Mario Draghi. Una votazione che, nonostante qualche malumore, ha garantito la democraticità interna delle scelte del Movimento. Ma è davvero così? Forse no. In particolare, il quesito relativo alla scelta di sostenere o meno Draghi era fondamentale, quasi epocale per un movimento così giovane e che ha dovuto, anche con questa scelta, ribaltare quasi del tutto le sue posizioni anche recenti.
Leggi anche: Una maggioranza da LeU alla Lega: Draghi li ignora o li accontenta tutti?
Una votazione talmente delicata ed importante che, all’annuncio dell’esito, un personaggio importante e storico come Alessandro Di Battista ha annunciato il suo ritiro dal Movimento stesso. Decisione forse clamorosa, ma che ben chiarisce l’importanza del dibattito in corso. Ebbene, una scelta di questa portata è passata attraverso la valutazione di poco più di 70mila persone. Pochi, pochissimi: per capire quanto, basta pensare ai numeri che fecero i 5 Stelle alle elezioni del 4 marzo del 2018. In quella circostanza il Movimento prese 10.732.066 voti alla Camera e 9.733.928 al Senato.
Altri tempi, certo: i grillini ottennero il 32,4% circa dei consensi, il primo partito in Italia. Ora i numeri non sono quelli: gli ultimi sondaggi attribuiscono al Movimento 5 Stelle intorno al 14,5%: poco meno della metà del marzo del 2018. Il che vuol dire che, a livello numerico, parliamo di circa 4 milioni di potenziali elettori. Ammettendo che le cifre siano queste, e potrebbero esserlo, i circa 70mila rappresentano circa il 2% degli elettori.
Leggi anche: Una maggioranza da LeU alla Lega: Draghi li ignora o li accontenta tutti?
Ed ecco che appare chiaramente l’assurdità, o quantomeno la poca rappresentatività, di un simile sistema per definire i processi di democrazia interna di un partito. Perchè tale è il Movimento 5 Stelle: e come tale forse dovrebbe iniziare a pensare a se stesso. Anche perchè, rispetto a quello che era la auto narrazione e sopratutto l’atteggiamento da tenere in politica, tutto è cambiato dai tempi delle foto nelle aule parlamentari con gli apriscatole in mano. Sopratutto in quest’ultima legislatura, quella che imponeva loro di essere forza di governo, i 5 stelle hanno ribaltato uno per uno i presupposti della loro esistenza stessa in politica, per come loro stessi l’avevano descritta. Prima avversi alla Lega, e poi al governo insieme, approvando i decreti sicurezza di Salvini. Hanno cambiato idea sugli F-35, sono poi andati al governo con il partito di Bibbiano (così loro definivano il Pd). Poi niente più limite dei due mandati. Adesso il passaggio finale della metamorfosi: si al governo del maxi europeista Draghi, in maggioranza con Berlusconi e Forza Italia, oltre che – di nuovo – con la Lega. Capovolgimenti epocali, passati tutti attraverso il voto di poche migliaia di persone su una piattaforma tra l’altro privata: ma l’importante è poter dire di aver rispettato i processi di democrazia diretta.