Il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi ha presentato l’elenco dei ministri. Qualche tecnico, molta politica: l’impressione è che si sia voluto accontentare tutti.
Come annunciato, alle 19 il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi ha presentato l’elenco dei ministri. Come si immaginava (e si temeva) le scelte di Draghi sono state vincolate alla maggioranza che è uscita dalle consultazioni: a prima vista l’applicazione puntuale del cosidetto “Manuale Cencelli”, con qualche tecnico in alcuni posti chiave. A stonare, in particolare, qualche conferma: a partire dal ministero degli Esteri e da quello della Salute.
Ministri senza portafoglio:
Federico D’Incà (M5S) ai Rapporti con il Parlamento
Vittorio Colao (Tecnico) all’Innovazione tecnologica
Renato Brunetta (Forza Italia) Pubblica amministrazione
Maria Stella Gelmini (Forza Italia) agli Affari regionali
Mara Carfagna (Forza Italia) al Sud ed alla Coesione Territoriale
Elena Bonetti (Italia Viva) Pari opportunità
Erika Stefani (Lega) alle Disabilità
Fabiana Dadone (M5S) alle Politiche giovanili
Massimo Garavaglia (Lega) al Turismo
Luigi Di Maio (M5S) agli Esteri
Luciana Lamorgese (Tecnico) Interni
Marta Cartabia (Tecnico) alla Giustizia
Lorenzo Guerini (PD) Difesa
Daniele Franco (Tecnico) all’Economia
Giancarlo Giorgetti (Lega) sviluppo economico
Stefano Patuanelli (M5S) all’Agricoltura
Roberto Cingolani (Tecnico) alla Transizione ecologica
Enrico Giovannini (Tecnico) alle Infrastrutture
Andrea Orlando (PD) al Lavoro
Patrizio Bianchi (Tecnico) all’Istruzione
Cristina Messa (Tecnico) all’Università
Dario Franceschini (PD) alla Cultura
Roberto Speranza (LEU) alla Salute
Roberto Garofoli è sottosegretario alla Presidenza.
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Un elenco che contiene alcune conferme, qualche sorpresa e molta delusione. L’impressione è che Draghi non abbia potuto ciò che voleva realmente: affidarsi ad un team molto più “tecnico” e sopratutto più vicino alla sua visione europeista. D’altronde la sua missione è chiara: creare i presupposti perchè l’Unione Europea non abbia dubbi nel versare i 209 miliardi di euro del Recovery Plan. Per fare questo sarebbero servite scelte più nette: ma c’erano da fare i conti con il Parlamento, una maggioranza che fosse stabile, il consenso dei partiti. D’altronde queste sono le regole della democrazia: restano però da spiegare alcune scelte. Partendo dalle “conferme”: in particolare quelle di Luigi Di Maio agli Esteri e Roberto Speranza alla Salute. Partiamo da Speranza: a parte l’impegno strenuo del personale ospedaliero, possiamo dire che la gestione sanitaria della pandemia abbia fatto acqua da tutte le parti? Si può dire, i numeri lo confermano, a partire dagli oltre 90mila morti. Stesso discorso per Di Maio: dal caso Regeni ai rapporti con la Libia, al sostegno degli italiani bloccati all’estero dal Covid. Perchè confermarli? Poi, i tre ministeri a Forza Italia: per quale motivo? Stesso numero di quelli assegnati alla Lega. Ma il peso dei due partiti è molto diverso. Eppure sono stati considerati più o meno alla pari. Non capiamo la ratio di questa decisione. Sarà invece interessante seguire il dibattito interno al Movimento 5 Stelle rispetto all’assegnazione del “super ministero” della Transizione Ecologica: è finito al “tecnico” Cingolani, avevamo capito che sarebbe spettato ai grillini. Così almeno sembrava avesse capito Beppe Grillo, che per questo ha spinto la base a votare “si” sulla piattaforma Rousseau. Ed ora? Immaginiamo che dovranno arrivare alcune spiegazioni a riguardo.
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Ma è nel suo complesso che la formula proposta da Mario Draghi non convince: è come se la classe politica, messa all’angolo dal presidente della Repubblica Mattarella e di fatto commissariata dall’arrivo di Mario Draghi, abbia trovato il modo di rientrare, usando una metafora, dalla finestra. Probabilmente l’ex presidente della Bce si aspettava una maggioranza più limitata, più gestibile: invece tutti i partiti, tranne soltanto Fratelli d’Italia, hanno scelto il compromesso politico. Anche estremo, in alcuni casi. E quindi Draghi si è trovato nell’inedita situazione di avere una maggioranza che va da Leu alla Lega, passando per tutto l’arco parlamentare. Un’accozzaglia di partiti diversi tra loro, in conflitto fino a ieri e divisi in alcuni casi da ostilità profonda, oltre che dalla visione politica. Riuscirà Draghi ad accordare tra loro il Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Renzi, oppure il PD e la Lega? O saranno piuttosto i partiti a costringere il presidente del Consiglio a muoversi tra mille trappole e divieti? Da questo dipenderà la governabilità dell’Italia, la durata della legislatura e tutto quello che ne consegue: a partire dalla lotta al Covid. Per non parlare del Recovery Plan: a meno che i 209 miliardi in arrivo non mettano tutti d’accordo. Ma a quel punto non sarebbe governare, ma spartirsi una torta.