Inizia a prendere forma la riforma fiscale che Draghi intende mettere nel suo piano di governo. Ecco alcune ipotesi
Inizia a prendere forma il progetto di riforma fiscale del nuovo premier incaricato Mario Draghi. L’idea è di ripensare aliquote e scaglioni, escludendo, per ora, l’ipotesi Flat Tax. La ricetta di Draghi sarà incentrata su progressività e lotta all’evasione. Per il momento non ha svelato nulla ma non è difficile individuare le linee d’azione obbligate da attuare per ripensare il fisco in nome della progressività richiesta dall’articolo 53 della Costituzione.
Draghi ha chiarito che il suddetto ripensamento del fisco verrà fatto senza aumentare la pressione fiscale. Per ora, come ha affermato alcuni giorni fa l’Upb, nel bilancio pubblico dal 2022 ci sono meno di 3 miliardi, cifre che non consentono chissà quali azzardi.
Leggi anche:—>Emergenza Covid, il Papa:”Un mondo malato in ambiente, politica ed economia”
Progressività da rimettere in piedi
Tra i pilastri dell’economia da rimettere in piedi, c’è la progressività. Questo perché l’attuale Irpef, tra aliquote legali, detrazioni e bonus potrebbe finire per colpire in modo più duro i redditi medio-bassi. Le richieste del fisco si impennano in particolare nella fascia di reddito che va da 26mila a 40mila euro lordo l’anno, fascia che comprende 7 milioni di contribuenti. A rendere difficile la salita in quel punto ci sono 3 aspetti: il salto dell’aliquota, che a 28mila euro sale di 11 punti, alzandosi dal 27 al 38%, per restare tale fino ai 55mila euro quando si alza di tre punti, e lasciandone due in più dai 75 mila euro in poi.
Leggi anche:—>Francesca Fialdini ha il Covid: come sta la conduttrice
In breve, l’effetto diventa più intenso perché all’aumento del reddito si aggiunge un doppio décalage, ossia quello delle detrazioni per carichi familiari o tipo di lavoro. Nel caso dei lavoratori dipendenti, c’è quello dei bonus detrazione aggiuntiva iniziato da Renzi e rinforzato nel periodo del governo Conte II. E il risultato è che l’aliquota marginale effettiva, ossia la quota che va al fisco per ogni euro di reddito in più, può raggiungere il 61% facendo nascere anche la questione dell’equità perché ciò non accade a chi ha redditi molto alti. Così si va a bloccare anche l’efficienza, perché richieste troppo esose frenano la produzione di reddito incrementale.
L’aliquota marginale diventa poi enorme per i lavoratori autonomi quando oltrepassano i 65mila euro di ricavi o compensi che danno diritto a una flat tax del 15%. Solo un euro in più, e il reddito disponibile sarà tagliato di 5.900 euro, il che fa da disincentivo alla fedeltà fiscale, che rischia di rimettere in discussione anche questa tassa piatta.