Il premier incaricato Mario Draghi ha dato inizio al giro di consultazioni con i gruppi parlamentari per verificare l’ipotesi di dar vita a un nuovo governo, e per capire quale sarà il margine in cui il nuovo esecutivo potrebbe muoversi. Il calendario di oggi prevede i gruppi di Italia viva, Pd, Fdi e Forza Italia. Come si evince, il centrodestra si presenterà separato. Come mai?
Mario Draghi, incaricato da Mattarella di dar vita a un nuovo governo, sembra convincere tutti tranne parte del M5s e centrodestra. Di nuovo, il segno della spaccatura percorre un nuovo crinale, diverso dalla classica divisione centrosinistra-centrodestra. In questo caso il discrimine sembra essere: europeismo-antieuropeismo, establishment-antiestablishment (almeno a parole). Una spaccatura che sembra percorrere non solo il M5s, frantumato tra la linea ortodossa e quella più governista. Ci finisce di mezzo anche il centrodestra, una coalizione dalle tante sfumature che ora emergono nella questione Draghi: da un lato Forza Italia, ormai pronta a dare il sostegno a Draghi, dall’altro Fratelli d’Italia, la più critica nei confronti del governo, per concludere con una Lega che prende tempo. Ed effettivamente le diverse posizioni rispecchiano le anime tanto diverse dei partiti. Forza Italia si fa e si è sempre fatta garante di una linea politica europeista, liberista e moderata; Fratelli d’Italia ha invece sempre optato per un sovranismo più rigido; mentre la Lega attualmente mostra con ogni chiarezza le due anime che la compongono: quella formata da industriali e governatori del Nord (che puntano su una buona gestione del Recovery, e quindi su Mario Draghi), e quella invece di rottura netta, di cui si era fatto portavoce Matteo Salvini durante l’alleanza con il M5s. Per comprendere bene la situazione, allora, è necessario ascoltare le parole dei diversi leader di centrodestra a proposito di un governo Draghi.
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Nella mattinata di ieri, Silvio Berlusconi ha rotto il silenzio con un endorsement: “La scelta del Presidente della Repubblica di conferire a Mario Draghi l’incarico di formare il nuovo governo va nella direzione che abbiamo indicato da settimane: quella di una personalità di alto profilo istituzionale attorno alla quale si possa tentare di realizzare l’unità sostanziale delle migliori energie del Paese. Un’antica stima mi lega a Mario Draghi, che fu il nostro governo a nominare Governatore della Banca d’Italia e ad indicare, superando le resistenze di alcuni partner europei, alla guida della BCE“, afferma il leader di Forza Italia. Insomma, le parole di Berlusconi sembrano confermare quanto già anticipato dagli appartenenti al partito, in sedi separate: la linea di Mario Draghi rispecchia esattamente la linea di Forza Italia, non a caso da anni Berlusconi è legato all’economista da un grande rapporto di stima. Da Forza Italia, sostanzialmente, arriva il sì.
Intanto Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia ospite a Porta a porta, ribadisce: “Ho sempre detto che non avrei votato un governo tecnico e che non sarei mai andata al governo col Pd, perché oggi di questo stiamo parlando“. Poi ancora: “Non so quale sia il programma di Draghi” ma “io sicuramente la fiducia non la voto. Al netto del voto di fiducia che io non darò, se portasse provvedimenti che io condivido per il bene dell’Italia, li voto“. In sostanza, da Fdi potrebbe arrivare un sostegno dall’esterno, ma il partito rimarrebbe all’opposizione. A suggellare questa posizione, un’altra battuta: “Sono così responsabile che riesco a dare una mano – se qualcuno la vuole – all’Italia, anche stando all’opposizione“. Dopo aver proposto un voto compatto di astensione da parte di tutto il centrodestra, Giorgia Meloni opta ora per un’altra linea: se il compromesso interno alla coalizione non è stato trovato, Fdi procederà come preferisce, restando all’opposizione e valutando di volta in volta i provvedimenti da votare.
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Infine, l’incognita della Lega. Matteo Salvini ancora non prende una posizione netta. In precedenza aveva dato vita a una sequela di posizioni altalenanti, strizzando l’occhio a entrambe le basi di cui prima (oltre che a Giorgia Meloni). Dopo aver aperto – in tempi ancora non sospetti – a un governo ponte di unità nazionale in grado di traghettare l’Italia alle elezioni, dopo esser tornato a ribadire l’esigenza di porre il voto come priorità principale (in caso di un Conte ter), dopo aver detto di voler ascoltare le posizioni di Mario Draghi senza nessun pregiudizio, continua ad aprire e a chiudere: “Noi a differenza di altri, siamo liberi, non abbiamo a differenza degli altri già scelto il sì o il no, prima di andare a parlare con Draghi“. La linea è piuttosto quella di un sì, ma a patto che. Prima la questione dirimente era: sì a Draghi, ma a patto che sia un governo rapido, in grado di portare l’Italia al voto il prima possibile. Ora la questione dirimente è un’altra: secondo Matteo Salvini Draghi dovrà scegliere “tra le richieste di Grillo e quelle nostre che sono il contrario”. Poi prova a stemperare i toni su possibili posizioni contrastanti all’interno della Lega: “A differenza di altri, dove ci sono correnti, correntine, fuoriusciti e ripensanti, noi ci confrontiamo sulle idee, poi quando si sceglie, la Lega si muove come un sol uomo“. Per quanto riguarda il centrodestra, invece, Salvini preferisce aggirare la questione: “Per noi vengono prima gli interessi degli italiani, prima di quelli del partito“. Poi a Dritto e Rovescio, comunque, ribadisce che la linea meloniana resta quella preferibile: “La via maestra sono sempre e comunque le elezioni. In democrazia le elezioni metterebbero il Paese in tranquillità per 5 anni, quindi è chiaro che altre alternative non ne vediamo“. In assenza delle condizioni necessarie per giungere a questa soluzione, però, Salvini ripete: ascoltiamo, valutiamo, accettiamo “ma a patto che”. Un colpo al cerchio, un colpo alla botte, e ognuno per sé.
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