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Governo Draghi, europeista e di profilo tecnico. Si torna a Monti ma con più soldi?

Ci risiamo. La politica italiana si arrende, non trova una quadra, viene reputata (o si auto-reputa) incapace di gestire l’attuale crisi economica, sanitaria e sociale e viene commissariata da un governo di “alto profilo”. Il 16 novembre del 2011 l’Italia conobbe l’economista Mario Monti, oggi sarà Mario Draghi – se otterrà la fiducia in Parlamento – a prendere le redini della crisi. Stessa situazione, ma con più soldi?

MeteoWeek.com (da Getty Images)

E siamo di nuovo qui: la politica italiana, di fronte alle grandi sfide, preferisce o subisce il commissariamento della tecnica. Di fronte all’impossibilità di creare un nuovo governo con la vecchia maggioranza, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha convocato al Quirinale Mario Draghi. Lo ha fatto dopo aver escluso, al momento, l’ipotesi del voto anticipato: troppi i mesi per organizzare il voto e un nuovo governo, troppi soprattutto in vista di ciò che è necessario fare (come la gestione del Recovery e della campagna vaccinale). Mario Draghi, ex presidente della Bce, è stato definito dai media un “Maradona lasciato in panchinafino a questo momento. Tra le altre cose, è stato il promotore del Quantitative easing e già una volta, dal di fuori, con le sue politiche economiche ha impedito a una recessione gravissima di travolgere l’Ue e l’Italia. Insomma, è soprattutto tecnico, ma è anche un po’ politico. Ora è ancora difficile capire che tipo di profilo assumerà un eventuale governo Draghi, in caso di fiducia: potrebbe essere un governo prettamente tecnico, o cercare una mediazione con la rappresentanza politica, per quanto possibile.

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Un parallelo tra il governo Monti e quello Draghi

Ciò che appare da fuori al momento è un “alto profilo”, europeista, con forti competenze tecniche, a cui è stato affidato il compito di tirar fuori l’Italia dal pantano politico con il fine di attuare le riforme necessarie richieste dall’Ue (per ottenere il Recovery). L’insieme di questi elementi lascerebbe pensare al governo Mario Monti, il quale ha prestato giuramento per il governo tecnico di emergenza il 16 novembre 2011. C’è tuttavia una differenza: in quel caso il governo tecnico fu fortemente voluto per gestire la crisi in cui era precipitato il Paese a causa dell’innalzamento del tasso di interesse per il rinnovo del debito pubblico. In quel periodo l’Italia fu vittima di una crisi di fiducia dei mercati internazionali, legata alla sua presunta incapacità di ripagare il proprio debito pubblico. Il governo Berlusconi IV, al tempo, non ottenne la maggioranza alla Camera sul rendiconto generale dello Stato, il 12 novembre Berlusconi rassegnò le dimissioni e il 16 novembre Monti – senatore a vita e già commissario europeo – prestò giuramento. Resta comunque una somiglianza evidente, con un’Ue che chiede stabilità e competenza, una politica ritenuta incapace, e l’esigenza di un profilo tecnico europeista.

Leggi anche: Giuseppe Conte è pronto a proporsi con un proprio partito politico?

… Ma in senso inverso

Oggi si torna all’ipotesi “alto profiloe un elemento resta lo stesso: si torna a questa ipotesi perché la politica italiana si è mostrata incapace di gestire la crisi. Tuttavia, il marchio di questo governo (tecnico?) in questo caso è opposto a quello di Monti: non più l’orrore dell’austerity, non più l’esigenza di misure emergenziali per portare i conti a pari, non più le lacrime di una Fornero al momento della firma sulla riforma delle pensioni, ma i 200 miliardi del Recovery da gestire, un rilancio dell’Italia da organizzare. In questo senso, la situazione appare più positiva e più negativa allo stesso tempo, se confrontata con il 2011: ipoteticamente, con una buona gestione del Recovery, gli antichi scenari dell’austerity potrebbero essere scansati. E’ vero che una porzione ingente di risorse è presa a debito, e che dunque andrà rimborsata, ma è anche vero che con le giuste manovre il debito potrebbe “ripagarsi da solo”. Resta il dubbio sul fatto che un solo uomo riesca a imprimere una svolta tanto drastica al collasso dell’Italia, ma l’alto profilo di Draghi apre qualche spiraglio. L’aspetto negativo, invece, emerge in merito alla nostra democrazia e alla nostra politica: questo commissariamento è grave soprattutto perché al momento la politica era chiamata non a tagliare, ma a spendere, e a spendere bene. Non ce l’ha fatta. Verrebbe da pensare che allora il vero problema dell’Italia non sia tanto l’Ue, non sia solo la perpetua crisi economica, ma il fatto che l’Italia si sia schiacciata su questo stato emergenziale di gestione della politica, miope nei confronti del futuro, rassegnata solo a vincere le campagne elettorali. Ma dove pensiamo di andare, se quando il Paese reale vota, il risultato offerto dai rappresentanti politici è o la tecnica o la disfatta?

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