Un report dell’Istituto Superiore di Sanità da i numeri della seconda ondata: ci sono stati più morti che nella prima. Ma non dovevamo “essere preparati”?
Sono 49.274 i decessi per Covid in Italia durante la seconda ondata dell’epidemia: parliamo di un periodo di tempo che parte dal mese di ottobre ed arriva ad oggi. Lo rileva l’Istituto superiore di Sanità nel report ‘Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia’. Nella prima ondata, nel periodo tra marzo e maggio del 2020, i morti furono 34.278. Insomma, la seconda fase della pandemia è costata al nostro paese 15mila morti in più rispetto alla prima. Il report poi analizza altri dati, a partire ovviamente dalle caratteristiche delle vittime: età, condizioni fisiche pregresse, localizzazione geografica. Ma forse è utile soffermarci sul dato più grezzo, più macroscopico e, a nostro parere, più clamoroso.
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Ebbene, cosa ci racconto questi due numeri? Andiamo a tratteggiare una analisi, partendo dall’inizio: a marzo, quando esplose l’evidenza che in Italia – sopratutto al nord – era in corso una epidemia di un virus respiratorio sconosciuto, la situazione era già compromessa. Ospedali ormai “contaminati” (vedi ad esempio la storia di quello di Alzano Lombardo), Rsa che erano divenute lazzaretti, catena di comando saltata, incapacità nel gestire la situazione. Si arrivava da due mesi – gennaio e febbraio – durante i quali il virus aveva circolato liberamente, senza alcun tipo di controllo. La situazione era così estrema che l’unica soluzione possibile fu quella di chiudere tutto. Lockdown. D’altronde mancavano le mascherine, mancavano i dispositivi di protezione individuale per i sanitari. Persino rimediare un flacone di disinfettante per le mani era una impresa ardua. Eravamo impreparati, colpiti a freddo, con una sanità pubblica già di per se in difficoltà ed un sistema di medicina territoriale – indispensabile per tracciare i casi, isolarli e curarli il più possibile fuori dagli ospedali – inesistente per lo più.
Comprensibile dunque che il prezzo pagato alla situazione contingente sia stato molto alto. Poi, grazie in parte al lockdown (che, giova sempre ricordarlo, non è stata una serrata totale come magari alcuni immaginano: in tantissime fabbriche ed aziende si è proseguito a lavorare, anche in quella che era la “zona rossa”) ed in parte all’arrivo della buona stagione la situazione si è normalizzata. Pochi casi, sempre di meno, al punto da spingere qualche medico ad azzardare affermazioni tranquillizzanti: “Il virus è clinicamente morto”, si spinse a dichiararee un importante primario. Posizioni che poi si sono rivelate inesatte o comunque limitate, ma che hanno dato il via ad atteggiamenti che possiamo riassumere con l’altrettanto nota battuta “Non ce n’è, coviddi”. Ricordate, no?
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Intanto trascorreva il tempo, e con esso la consapevolezza: si iniziava a ragionare come gestire il virus clinicamente, come organizzare meglio le dinamiche della vita sociale, come pianificare la ripresa delle scuole, il lavoro, le attività commerciali, i trasporti, come aumentare i posti letto ospedalieri, quelli in terapia intensiva, il personale medico-sanitario. Un ragionamento che, però, non ha portato a grandi risultati. Lo dicono i numeri: quindicimila morti in più. E’ vero che la seconda ondata, fino ad oggi, è più “lunga”: quattro mesi rispetto ai tre della prima. Ma anche provando a fare una proiezione “grezza”, ed aumentando di un mese il periodo della prima ondata, si arriva a circa 45mila morti, oltre 4mila in meno rispetto alla seconda.
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E qui è inevitabile una domanda: è possibile che nonostante le consapevolezze, l’esperienza accumulata, le evidenze acquisite ci si ritrova a contare più morti? Cosa è andato storto? Da un certo punto di vista tutto: a parte una gestione forse accettabile della scuola (ma per lo più il merito va ad insegnanti, operatori scolastici e famiglie) tutto quel che si poteva sbagliare si è sbagliato: trasporti, tracciamento infetti e tamponi, gestione delle aperture e delle chiusure che si stanno rivelando inutili per il contenimento del contagio e dannose per l’economia. Senza parlare dei vaccini: ritardi immensi per la distribuzione di quelli influenzali, ed ora i mille problemi della campagna vaccinale anti covid. Forse dovrebbero essere questi i temi al centro del dibattito politico e della valutazione sull’operato del governo: altro che Recovery Fund e servizi segreti. Non perchè non siano temi importanti, a partire dai soldi in arrivo dall’Europa. Ma come possiamo pensare di gestire bene quello che deve ancora accadere, se quello che sta avvenendo da un anno è ancora molto lontano dall’essere gestito?