La crisi economica porta i ristoratori ad affidarsi alla criminalità organizzata per salvare la propria attività: gli indennizzi non bastano.
Circa 10 mila ristoranti esposti al rischio di usura o riciclaggio da parte delle organizzazioni criminali. Il dato emerge da un’indagine dell’agenzia di informazione commerciale Cerved, realizzata sulla base delle perdite subite dai ristoratori a causa del Covid-19. Imprenditori e lavoratori, a fronte dei mesi di chiusura dovuti alla pandemia e del calo drastico nelle vendite, non si sono sentiti tutelati dagli indennizzi stanziati dal governo.
Nel giro di quasi un anno i mancati pagamenti nell’ambito della ristorazione si sono impennati fino ad un picco del 73 per cento. Questo perché i ricavi registrati nel 2020 hanno subìto un calo del 56 per cento. Il risultato? Circa 15 mila ristoranti – sui 33 mila che operano come società di capitale – hanno chiuso. Quasi la metà. Tanto che, chi invece è riuscito a sopravvivere, potrebbe ricorrere a prestiti non legalizzati per non chiudere bottega. E non è un problema legato solo alla ristorazione: si trovano nella stessa situazione anche quasi 2 mila alberghi e 1.800 agenzie di viaggio.
La situazione nelle diverse Regioni
Maglia nera per il Lazio. La Regione che ospita la Capitale d’Italia conta 2.116 attività nel mirino delle mafie. A seguire la Lombardia, con 1.370, e la Campania. Ma la classifica cambia se le attività a rischio vengono rapportate al numero di ristoranti attivi sul territorio. In questo caso, Calabria e Sicilia si trovano ai primi posti. E il dato statistico di Cerved potrebbe anche essere sottostimato: prende in considerazione solamente le società che fatturano di più, quindi non aggiunge al calcolo la totalità delle ditte iscritte alle Camere di Commercio.
Le parole del Procuratore Nazionale Antimafia
Il pericolo che le attività italiane possano cadere nelle mani della criminalità organizzata è stato confermato anche da Federico Cafiero de Raho, Procuratore Nazionale Antimafia. “In ogni momento di emergenza le mafie ne hanno approfittato, trovando gli spazi per poter trarre ulteriore arricchimento e soprattutto consolidare le loro liquidità”, ha detto il Procuratore. Alla sua voce si è aggiunta quella di Rocco Sciarrone, docente di sociologia della criminalità organizzata dell’università di Torino intervistato da La Stampa.
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“Lazio e Lombardia sono molto a rischio – ha detto il professore – ma l’attività di riciclaggio risulta generalmente in crescita nelle regione del Nord. E non c’è dubbio che bar, ristoranti e alberghi sono i più esposti a questo tipo di rischio. Oggi poi i contatti tra economia reale e criminalità non hanno neanche bisogno del riciclaggio nel senso penale del termine. Il problema è l’area ‘grigia’: da qui nasce il patto tra imprenditore e mafia. Una domanda di servizio alla mafia. E su questo ci si focalizza poco, non si viene catturati dal riciclaggio, perché il denaro formalmente è pulito: questo è il vero problema”.
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Le responsabilità della politica
La situazione in cui versano i ristoranti di tutta Italia dovrebbe aprire una riflessione sulle responsabilità della politica. Il nostro Paese si ritrova con un deficit pubblico – raggiunto nel 2020 – simile a quelli osservati nel corso della prima e della seconda guerra mondiale. Questo perché considerando indennizzi, ristori e aiuti erogati durante la pandemia – e specialmente nei mesi più duri del lockdown di marzo 2020 – il debito pubblico è arrivato a quota 165 miliardi. Una somma che peserà sul futuro delle prossime generazioni. Ma se i lavoratori, a un anno dall’inizio della crisi sanitaria, sono ancora in ginocchio, a cosa sono serviti tutti quei soldi?