“Non abbiamo nessuna intenzione di chiuderci nelle nostre stanze a cercare un governo a qualunque costo. Non è questa la nostra storia e non è questo che serve alla nazione“, commenta il segretario del Pd Nicola Zingaretti su Facebook. Nel frattempo conferma la linea del Pd: durante le consultazioni, i dem presenteranno a Mattarella il nome di Giuseppe Conte. Ma che sia un cambio di rotta del Pd?
“Non abbiamo nessuna intenzione di chiuderci nelle nostre stanze a cercare un governo a qualunque costo. Non è questa la nostra storia e non è questo che serve alla nazione“. Con queste parole il segretario del Pd Nicola Zingaretti sembra specificare la posizione dei dem: il primo nome presentato durante le consultazioni sarà quello di Giuseppe Conte. Ma se i dem dovessero accorgersi dell’impossibilità di creare un Conte ter solido, non si ostinerebbero ad ogni costo. E’ questo il primo senso che va cercato dietro le parole che il segretario scrive su Facebook, per poi aggiungere: “Prendiamoci cura dell’Italia e credo che la cura giusta sia un governo di legislatura, europeista, repubblicano, che rilanci lo sviluppo, socialmente giusto e attento agli ultimi“. Poi ancora: “Prendiamoci cura dell’Italia e credo che la cura giusta sia un governo di legislatura, europeista, repubblicano, che rilanci lo sviluppo, socialmente giusto e attento agli ultimi. Un governo attento alla salute e al futuro degli italiani. Questa crisi non l’abbiamo voluta noi. Ne avremmo fatto volentieri a meno. Ripeto. L’Italia può e deve guarire”.
Il Pd ripete Conte ter, ma…
Dalla riunione nazionale del Pd esce un mandato unanime: Zingaretti al primo giro al Quirinale nominerà il Giuseppe Conte come candidato premier. E confermano la blindatura anche le parole dello stesso segretario dem: “Conte è un punto di equilibrio credibile“, serve “un governo di legislatura europeista e repubblicano che rilanci lo sviluppo. Il Partito democratico ha una sola parola ed esprime un nome come possibile guida di un governo di cambiamento. Quello di Giuseppe Conte“. Insomma, le conferme sulla prima linea da sostenere sono inequivocabili. Eppure, c’è un “ma”. Ma il Pd inizia anche a dare i primi segnali di allentamento: un Conte ter non va incentivato a tutti i costi. Dov’è il limite? Proprio nella compagine che l’attuale maggioranza riuscirà a trovare. Per il Pd è necessaria una maggioranza ampia. Probabilmente, anche per ridimensionare il ruolo di Italia viva, sia che il partito di Renzi resti fuori dalla maggioranza (sarebbe il desiderio principale), sia che rientri in maggioranza (lo scenario meno auspicabile ma più realistico, in presenza di un Conte ter).
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Il punto è che il Pd non vuole ritrovarsi politicamente in svantaggio. Numericamente è più solido di Italia viva, ma in questa situazione è il partito di Renzi ad avere il coltello dalla parte del manico. Se Conte non dovesse trovare altri responsabili per rimpolpare le fila, Italia viva nuovamente in maggioranza si ritroverebbe a dettare le condizioni. Anche al Pd. Per questo il Partito democratico ora sembra cambiare tono, sembra ribadire: sì a Conte, ma non a ogni costo. E qual è il costo che Conte deve pagare per tenersi buono il Pd? Conservare lo spazio politico che il Pd ha avuto fino a questo momento, non cederlo a Italia viva solo per ottenere i voti necessari a dar vita a un Conte ter. E con “spazio politico” si intendono sia i punti programmatici del tanto decantato patto di legislatura, sia i posti al ministero. Insomma, così facendo il Pd sembra dire a Conte: Italia viva potrebbe anche tornare, ma non più forte di prima, o comunque non più forte di noi.