Oggi il premier Giuseppe Conte salirà al Colle per rassegnare le dimissioni. A proposito del dopo, si è molto parlato del Conte ter ma l’esito non è immediato. Molto dipenderà dalla decisione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo il giro di consultazioni con tutti i gruppi parlamentari. Al momento le ipotesi che campeggiano sono: un governo di unità nazionale, fondato sulla cosiddetta “maggioranza Ursula”, un governo istituzionale e un Conte ter.
I nodi sono giunti al pettine. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha provato a raccogliere intorno a sé una serie di “responsabili” disposti ad entrare in maggioranza all’interno del Conte bis, senza il bisogno di creare un altro esecutivo. Non ce l’ha fatta, la crisi va formalizzata, gli dicono tutti. Conte deve rassegnare le dimissioni e sperare in un reincarico che, a quel punto, dovrebbe attirare con più forza i tanto invocati responsabili: l’esecutivo avrebbe una conformazione totalmente rinnovata, il che consentirebbe maggiore spazio per integrare un allargamento di maggioranza. Era quanto auspicato da Bruno Tabacci, Centro democratico, che sulla Repubblica ha affermato: “Ho fatto quello che potevo ma i numeri restano incerti e a questo Paese non serve una maggioranza raccogliticcia. A Conte ho suggerito un gesto di chiarezza: dimettersi per formare un nuovo governo. E se non ci riesce, si va al voto. Per vincere”. A quel punto, però, dalla presentazione delle dimissioni, si squadernano le ipotesi che fino ad ora hanno campeggiato nel dibattito politico e mediatico: il governo di unità nazionale (probabilmente a maggioranza Ursula), un governo istituzionale e, ovviamente, un Conte ter.
Partiamo dalla prima ipotesi, supportata anche da Silvio Berlusconi: il governo di unità nazionale (o di interesse nazionale). Proprio di recente il leader di Forza Italia avrebbe affermato: “La strada maestra è una sola: rimettere alla saggezza politica e all’autorevolezza istituzionale del Capo dello Stato di indicare la soluzione della crisi, attraverso un nuovo governo che rappresenti l’unità sostanziale del Paese in un momento di emergenza oppure restituire la parola agli italiani. Mi auguro che il presidente del Consiglio sia consapevole dell’ineludibilità di questa strada”. Insomma, o governo di unità nazionale o elezioni. “Qualunque altra soluzione significa prolungare una paralisi che il Paese non si può permettere e che quindi ovviamente non ci vede disponibili. Di tutto questo ho ragionato a lungo con i miei collaboratori e con i vertici di Forza Italia, e posso garantire un’assoluta unità di valutazioni o di intenti“, ripete il Cavaliere. Ma di cosa si tratta? Di una maggioranza allargata a tutte le forze politiche. Un governo di questo tipo sarebbe presieduto da una personalità super partes (il nome che riecheggia è Mario Draghi), e il suo scopo sarebbe traghettare l’Italia verso il pieno completamento del Recovery plan e verso il termine della legislatura. L’idea è anche di cogliere l’occasione per varare anche riforme importanti, che generalmente necessitano del supporto di una maggioranza molto solida.
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Ed è in questo caso che si fa riferimento alla cosiddetta “maggioranza Ursula”: si tratta dell’unione di forze politiche che in Ue hanno votato per l’elezione della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Sono, più nello specifico, di Pd, Leu, M5s e Forza Italia. La stessa Forza Italia a lungo corteggiata da Giuseppe Conte, la stessa Forza Italia che appare tra le forze europeiste e liberali tanto acclamate, la stessa Forza Italia che Brunetta – molto vicino a Berlusconi – vorrebbe rendere più indipendente rispetto alla compagine Lega e Fdi. La stessa Forza Italia che ora dice “o voto o governo di unità nazionale”.
Un’altra ipotesi riguarda invece il governo di unità istituzionale. Il presidente della Repubblica – in caso di impossibilità a trovare una maggioranza – dovrebbe comunque provvedere ad attribuire un incarico per formare un governo in grado di traghettare il Paese alle elezioni anticipate. Le figure guida di questa conformazione politica sono in genere figure istituzionali (per questo “governo di unità istituzionale): presidenti delle Camere, ex presidenti della Corte costituzionale e così via. Tuttavia, ora, sia Pd che M5s fanno sapere di non voler andare al voto anticipato. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti a Radio Immagina dice chiaramente a proposito del voto anticipato: ”È stata la scelta di Matteo Renzi che ha materializzato il rischio di elezioni anticipate. Quando pensavamo a una crisi al buio pensavamo esattamente a questa situazione. Tutte le posizioni ora si stanno irrigidendo. Ora dobbiamo uscirne. L’apertura della crisi ha materializzato un rischio che va in tutti i modi evitato”. D’altro canto, anche il M5s inizia a temere il voto anticipato.
Infine, l’ipotesi del Conte ter. Al momento appare come l’ipotesi più probabile, ma non scontata, anzi. Si tratta di un’ipotesi sorretta da Pd e M5s, voluta fortemente dall’attuale presidente del Consiglio, e che dovrebbe garantire al premier di mettersi al riparo di fronte al rischio di andare sotto nel voto sulla giustizia di domani 27 gennaio. Per questo il premier si reca in Quirinale, oggi, per rassegnare le dimissioni: la speranza è di ottenere un reincarico per un Conte ter. Ma è una soluzione rischiosa, che Conte ha voluto evitare fino a questo momento: teme cosa potrebbe accadere in quel lasso di tempo tra le dimissioni e un eventuale reincarico. La palla in quel frangente passa al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ascolterà tutti i gruppi parlamentari per verificare che si tratti della soluzione migliore. E non è scontato.
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Il capo dello Stato continua a interrogarsi sulla solidità di una possibile maggioranza a guida, nuovamente, di Giuseppe Conte. Molto dipenderà dalle certezze che Conte fornirà durante l’incontro al Colle, riferendo quanto accaduto nelle aule negli ultimi giorni, lo stato delle trattative, gli alleati potenziali o sicuri e così via. Fondamentale sarà anche comprendere il ruolo di Italia viva all’interno di una nuova compagine di maggioranza. E ancor di più: la questione assumerà importanza in virtù del numero di responsabili avvicinato fino ad ora. La presenza di Italia viva in maggioranza in tal caso potrebbe essere determinante, o semplicemente auspicabile. Ecco perché molto dipenderà anche da quanto riferito dai singoli gruppi parlamentari. Se i gruppi dovessero fornire un quadro dei fatti diverso da quello riportato da Conte (magari ingenuamente convinto della reale disponibilità di alcune forze politiche), la partita si aprirebbe nuovamente. Ad esempio il nuovo gruppo centrista potrebbe richiedere una discontinuità a Palazzo Chigi, o potrebbe essere Matteo Renzi a chiederla. Insomma, il reincarico di Conte è appeso a un filo. Tutto dipenderà da lui, da quanto i nuovi soci intenderanno difenderlo fino in fondo e dalle conclusioni a cui giungerà Mattarella.
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