I primi dati sul vaccino arrivano da Israele. Qui un terzo della popolazione è già stata vaccinata. La prima dose è meno efficace del previsto, mentre la seconda rispecchia le previsioni dei produttori.
Sta per concludersi il primo mese dell’anno, che mai come in questo 2021 è considerato cruciale. Soprattutto dal punto di vista sanitario, visto che è in corso la più ampia campagna di vaccinazione della storia dell’umanità. L’intenzione è quella di fornire la maggiore protezione possibile dal Covid-19, un anno dopo lo scoppio della pandemia su scala mondiale. Ma in questi giorni ci si interroga sulla reale efficacia del vaccino che si sta diffondendo in giro per il mondo. E una risposta ai dubbi e alle perplessità può già arrivare da una nazione: Israele.
Qui, infatti, si stanno registrando numeri da record, soprattutto sul piano delle dosi somministrate in rapporto alla popolazione. Israele è in lockdown da diverse settimane e ha avviato la diffusione del vaccino anti-Covid lo scorso 19 dicembre. Finora l’unico antidoto diffuso nella nazione è quello prodotto da Pfizer e BioNTech, lo stesso che è stato somministrato anche in Italia. E i primi dati in tal senso fanno da cartina al tornasole di come funziona questo siero. In sintesi: la prima dose protegge meno del previsto, mentre la seconda è più fedele alle previsioni dell’azienda tedesca.
In questa fase, come sta accadendo in giro per il mondo, i dati sul contagio in Israele sono in leggera ascesa. Ma questo non è di certo legato a una presunta scarsa efficacia del vaccino. Le diverse varianti di Covid-19 che stanno circolando, come quella sudamericana o la variante inglese, sono presenti sul territorio nazionale in una percentuale che oscilla tra il 30 e il 40%. Ma facendo una più approfondita indagine tra i soggetti vaccinati, ci si rende conto che i casi positivi calano di giorno in giorno. Anche perchè nel frattempo, con la somministrazione della seconda dose, l’immunità si attiva.
Stando a quanto riportato dall’agenzia Associated Press, Pfizer avrebbe garantito un flusso maggiore di siero al governo di Tel Aviv. In cambio è stato richiesto un costante aggiornamento settimanale sull’efficacia del vaccino. La scelta di questo Paese è presto detta: in primis per la popolazione ridotta, con poco più di 9 milioni di abitanti. E poi per l’efficienza del sistema sanitario, che copre tutti i cittadini e dispone di un database digitale. Uno dei pochi casi al mondo di trasparenza ed efficienza, che ha indotto Pfizer ad avviare questa collaborazione.
Tanto che entro la fine del mese di marzo tutta la popolazione israeliana potrebbe aver ricevuto almeno la prima dose del vaccino. Ma tornando alla valutazione dei primi casi di soggetti già vaccinati con la seconda dose, i test sono stati fatti su 200mila persone. Tutte hanno almeno 60 anni di età e stando ai dati raccolti dall’organizzazione sanitaria Clalit non ci sono dati troppo incoraggianti in merito alla prima dose del vaccino. Con il passare dei giorni, però, il ritmo di infezione da Covid è scesa ma non come previsto da Pfizer. Si parla di un’incidenza del 33% rispetto al 52% previsto dagli americani.
Tuttavia, come si scriveva in precedenza è la seconda dose a dare una difesa completa a chi la riceve. Viene infatti rispettata in toto la quota del 95% di protezione dal Covid-19, prevista anch’essa da Pfizer al momento del completamento dei test prima della diffusione sul mercato. Lo Sheba Medical Center ha svelato, al termine di questi studi, che dopo la seconda dose gli anticorpi aumentano di 6-12 volte in tutti gli immunizzati. Dunque la linea è chiara: bisogna completare i richiami prima di pensare a nuove vaccinazioni.