Next Generation Eu o Recovery Fund? In Italia la scelta del nome è eloquente

Tanti gli acronimi, tanti i piani e i programmi squadernati dall’Ue per far fronte alla crisi economica e sanitaria. Talmente tanti che persistono confusioni su cosa sia il Recovery plan, cosa sia il Recovery Fund e cosa sia il Next Generation Eu. In Italia si parla impropriamente di Recovery Fund, ma dare i nomi adeguati è importante.

Tra le tante nuove informazioni inglobate in questo anno “particolare”, ci sono anche gli acronimi con cui l’Ue etichetta i pacchetti di aiuti forniti agli Stati membri per fronteggiare l’emergenza coronavirus, economica e sanitaria. Tra questi nuovi nomi, spiccano Recovery plan, Recovery Fund e Next Generation Eu. Uno di questi – ufficialmente – non esiste. Ed è il Recovery Fund. Ma andiamo con ordine. Oltre ai programmi di acquisto titoli della Banca Centrale Europea, (come il Pepp), alla linea di credito speciale del Mes, affiancata da prestiti del fondo Sure e della Bei, l’Ue ha dato anche il via al Next Generation Eu. In cosa consiste?

Next Generation Eu o Recovery Fund?

E’ a fine luglio che arriva l’approvazione da parte del Consiglio europeo del grande pacchetto per il sostegno e il rilancio dell’Europa: il Next Generation Eu, un piano di aiuti da 750 miliardi di euro. Il fondo affiancherà il budget pluriennale approvato per il 2021-2027, che varrà complessivamente 1100 miliardi di euro. Il pacchetto verrà finanziato attraverso debito comune raccolto sui mercati attraverso i titoli europei. Il Next Generation Eu presenta diversi strumenti al suo interno: il Dispositivo europeo per la ripresa e resilienza, il ReactEu, Orizzonte Europa, Fondo InvestEu, Sviluppo rurale, Fondo per una transizione giusta, e RescEu. Il Next Generation EU ha degli obiettivi specifici: sostenere la ripresa degli Stati membri; rilanciare l’economia; sostenere gli investimenti privati. Uno degli strumenti più importanti di questo pacchetto è appunto il Recovery and Reslience Facility (il Dispositivo europeo per la ripresa e resilienza, RRF), che porta un carico di 672,5 miliardi di euro. Ed è per questo che – impropriamente – il Next Generation Eu viene definito Recovery Fund: si utilizza il nome dello strumento più sostanzioso, ma per riferirsi a tutto il pacchetto.

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E il Recovery plan?

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, lo strumento per rispondere ala crisi pandemica provocata dal Covid-19″, si legge sul sito del Governo italiano. Tutti gli stati membri, infatti, dovranno presentare alla Commissione europea i propri Recovery plan (in Italia Piano nazionale di ripresa e resilienza). Si tratta di documenti in cui gli stati membri spiegano dettagliatamente come e con quali tempi verranno impiegate le risorse. In gioco, in Italia, ci sono 209 miliardi di euro finanziati dall’Unione Europea: 127 miliardi sotto forma di prestiti e altri 82 miliardi come sovvenzioni.

Il Piano è già stato approvato dal Consiglio dei ministri, e ora si trova al vaglio della Commissione europea. Il piano finale punta a investire 223 miliardi di euro, una somma di denaro incrementata rispetto alle prime bozze, che si riferivano solamente a 196 miliardi di euro. Le prime bozze, infatti, si riferivano al Recovery Fund in senso stretto, ovvero al Recovery and Reslience Facility, lo strumento principale del Next Generation Eu. Il Piano finale punta invece a inserire e programmare anche i fondi di coesione e sviluppo e i 13 miliardi del ReactEu. Per questo la somma sale a 223 miliardi. I soldi sono distribuiti per rispondere a quattro sfide: migliorare la resilienza e la capacità di ripresa dell’Italia; ridurre l’impatto economico e sociale della crisi pandemica; sostenere la transizione verde e digitale; innalzare il potenziale di crescita dell’economia e la creazione di occupazione. Queste sfide si traducono in 6 missioni: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute.

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Un nome un programma

Perché, allora, chiamiamo il piano per il Next Generation Eu con il nome improprio di Recovery Fund? Verrebbe da pensare che si tratti di un’inesattezza presa alla leggera. In realtà il nome scelto dal pacchetto europeo non è casuale: è una presa di responsabilità nei confronti delle future generazioni, è l’assunzione di un impegno in grado di gettare uno sguardo strategico sul futuro. E’ un patto tra generazioni, ed è anche una visione di futuro. E forse è anche per questo che lo chiamiamo in maniera impropria: nel Piano nazionale italiano, tutto questo sembra mancare. Il Recovery plan italiano appare piuttosto un’allocazione di risorse nei settori strategici già individuati dall’Ue, soprattutto a traino statale. Ma mancano gli incentivi a crescere, così come mancano riforme strutturali per superare quelli che sono i deficit storici dell’Italia (burocrazia, lentezza amministrativa, disoccupazione giovanile, condizione femminile, precarietà, abbandono scolastico).

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Tutti questi temi sono stati sollevati dalle Raccomandazioni Paese che l’Ue periodicamente invia agli Stati membri. E queste raccomandazioni Paese dovrebbero – teoricamente – incrociare le linee guida specifiche del Next Generation Eu, per dar vita a un Piano comune e specifico allo stesso tempo. E’ scritto nelle stesse linee guida fornite dall’Ue. L’Italia sembra averlo dimenticato. Lo ribadisce anche il Commissario all’Economia Paolo Gentiloni, quando ci ricorda l’esigenza di rafforzare il piano con vere e proprie riforme. Lo ricorda l’economista Lorenzo Bini Smaghi, che in una intervista a Repubblica afferma: “È difficile dare un giudizio dice, perché in pochi giorni sono significativamente cambiate le cifre riguardo alle macroaree di intervento, ma allo stesso tempo sono scomparsi i progetti. E mancano le riforme, che rappresentano una condizione essenziale per l’erogazione dei fondi”. Poi l’avviso: “Se chi ci ha dato i fondi per la ricostruzione scopre che sono stati spesi per il consenso elettorale, non sarà più disposto a darceli in futuro. È a rischio la credibilità del Paese“. Ecco, la speranza è di non aver scambiato un progetto strutturato di crescita per una sorta di Helicopter Money da cui far piovere risorse senza visione. O piuttosto: la speranza è di trovare la forza per scavalcare questa incapacità di mettere a fuoco un futuro possibile, questa miopia per l’immediato tipicamente italiana. Tutto questo in mezzo a una crisi politica tipicamente italiana.

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