«Adottiva» sul documento della figlia di 2 donne: i limiti della stepchild adoption

Succede all’ufficio anagrafe di Roma. La sigla viene messa per indicare che la figlia adottiva, minorenne, è stata riconosciuta con la stepchild adoption. Sui suoi limiti giuridici dovrà ora esprimersi la Corte Costituzionale

Comune sigla con «adottiva» il documento della figlia di due donne, ma la dicitura è vietata

In Italia esiste una bambina con un documento d’identità che, suo malgrado, la distingue dagli altri bambini. Sul retro accanto al nome della madre il Comune di Roma ha infatti aggiunto la sigla «ADT» (adottiva). Eppure quella sigla, come riporta il Corriere della Sera che per primo ha raccontato la storia, è vietata, perché costituisce una discriminazione. La bimba è la figlia adottiva di una coppia di donne, nata grazie alla fecondazione eterologa fatta all’estero. Nel 2014 un Tribunale ha poi riconosciuto il suo rapporto con la seconda mamma e facendo grazie alla cosiddetta stepchild adoption ha permesso di registrare un legame legale tra loro.

Parola alla Consulta

L’anno scorso sia la Cassazione sia la Corte costituzionale hanno indicato in quel tipo di adozione la via privilegiata per tutelare i minori e i loro diritti, data l’assenza di leggi specifiche sul tema. Ma l’istituto giuridico della stepchild adoption, oggi, mostra diversi aspetti problematici. Tanto che alcuni tribunali di merito hanno sollevato dei dubbi circa i limiti della tutela garantita ai minori dall’azione. Dubbi che cercherà di risolvere la Consulta, chiamata il 27 gennaio a occuparsi di due casi che riguardano i figli di coppie lesbiche e gay.

La stepchild adoption è una sorta di riconoscimento a metà: il legame che questo istituto garantisce con il secondo genitore è, infatti, soltanto parziale. Perché essa non crea legami di parentela con i congiunti del genitore adottivo ed esclude anche il diritto di eredità. Inoltre, non può essere fatta alla nascita, ma a seguito dell’istanza del Tribunale per i minori e solo se gli assistenti sociali verificano il legame di fatto e un giudice lo convalida. Infine, per questa formula adottiva è necessario il consenso del genitore biologico.

Comune sigla con «adottiva» il documento della figlia di due donne, ma la dicitura è vietata

I due casi in esame

C’è poi la questione delle separazioni. Il 27 gennaio la Corte Costituzionale — spiega il Corsera — dovrà infatti pronunciarsi sul caso di una donna di Padova che ha avuto, tramite fecondazione eterologa, due gemelle con la sua compagna. Ed è stata proprio quest’ultima a partorire le due gemelle, che, però, la seconda madre non ha più potuto vedere dopo la separazione. La donna si è così rivolta al Tribunale di Padova per chiedere il riconoscimento legale del legame con le figlie. E i giudici padovani hanno interpellato la Consulta per sapere come fare a tutelare le minori.

Il secondo caso all’esame dei giudici costituzionali riguarda una coppia di padri di Verona, diventati genitori con la maternità surrogata in Canada. Pratica illegale in Italia, tanto che nel momento di trascrizione dell’atto di nascita il bimbo ha «perso» legalmente uno dei due padri e i parenti di tutto quel lato della famiglia. In questo caso a rivolgersi alla Consulta è la stata la prima sezione civile della Corte di Cassazione perché ritiene contrastante con il diritto europeo di tutela dei minori il divieto di trascrizione integrale dell’atto di nascita e il rimando alla stepchild adoption. Quindi alla genitorialità «ridotta» e non a quella piena.

La legge Cirinnà

Dei passi avanti sul tema sono stati fatti. Ma sono ancora troppo pochi per superare questa disparità di trattamento. «La legge Cirinnà del 2016 ha riconosciuto diritti alle coppie dello stesso sesso ma ha lasciato senza regolamentazione la relazione con i figli e le figlie nati all’interno di una relazione omosessuale», spiega al Corriere Gianfranco Goretti, presidente di Famiglie Arcobaleno.

E aggiunge: «Ancora oggi uno dei genitori non esiste agli occhi dello Stato: significa che non ha alcun obbligo, dovere, né vincolo legale con i figli e le figlie che ha voluto, cresce, ama e accudisce. Non può per esempio prenderli a scuola senza delega, né assistere o decidere su ricoveri o trattamenti sanitari, non può andare all’estero con loro. In caso di separazione, non ha alcun dovere di sostentamento nei loro confronti, né il diritto di continuare a vederli. Se il genitore legale muore, rischia di vedere i propri figli considerati orfani e quindi adottabili».

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Le mosse dei sindaci

Dopo i giudici si sono mossi anche sindaci e Amministrazioni. Nel maggio 2018 la sindaca di Torino Chiara Appendino ha infatti riconosciuto come genitori a pieno titolo padri gay e madri lesbiche. Un esempio subito seguito dalle amministrazioni di Bologna, Firenze, Napoli e Milano. Ma solo per le madri in quest’ultimo caso. Anche diversi Tribunali da Nord a Sud hanno riconosciuto il diritto al riconoscimento immediato di entrambi i genitori, senza bisogno di ricorrere alla soluzione adottiva per casi speciali.

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Una tendenza che sembrava essere stata interrotta dalle sezioni unite della Cassazione, che indicavano la stepchild adoption come soluzione per la tutela dei figli delle coppie dello stesso sesso. Eppure non è stato così e i riconoscimenti alla nascita sono continuati come dimostrato i recenti casi della Corte d’Appello di Roma e del Tribunale di Cagliari. Infine, anche i magistrati di Brescia e di Genova hanno sancito che se la seconda madre ha prestato il proprio consenso alla fecondazione eterologa ha il diritto e il dovere di riconoscere il bambino che nasce e di prendersene cura.

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L’ultimo caso citato dal quotidiano di via Solferino è quello di due madri di Bergamo, dove il 16 novembre scorso il Comune ha indicato sul certificato di nascita di una bimba nata nel 2017 i nomi di entrambe le madri.

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