Giuseppe Conte strappa la fiducia anche in Senato, con 156 voti a favore, 140 contrari e 16 astenuti. Il premier viene riconfermato, ma i calcoli non sono favorevoli: se i 16 di Italia viva avessero votato in senso contrario, invece che optare per l’astensione, lo scenario sarebbe stato totalmente diverso. Quindi sì, il governo va avanti, ma a che prezzo? Con quale forza?
C’è confusione, al Senato si vota, il premier Giuseppe Conte si districa tra attacchi in Parlamento e chiamate ai responsabili, i senatori Ciampolillo e Nencini votano addirittura in extremis, tanto da richiedere il vaglio del Var prima della definitiva ratifica. Eppure alla fine Conte tira un sospiro di sollievo, incassando la fiducia a maggioranza relativa, con 156 voti a favore, 40 contrari e 16 astenuti. Facendo due calcoli, emerge subito un dato di fatto: i 16 astenuti sono stati i senatori di Italia viva, e se avessero votato compatti per il no avrebbero determinato una situazione di pareggio. Ovviamente la situazione non è così semplice: nulla assicura che in caso di voto contrario tutti i senatori di Italia viva avrebbero seguito una linea comune. Anzi è molto probabile che il gruppo si sarebbe a quel punto disgregato. Fatto sta che – stando così le cose – nelle votazioni future resterà determinante il voto del gruppo di Italia viva, che potrebbe in qualsiasi momento creare una situazione di stallo.
Eppure il premier esulta, e dopo la votazione scrive su Twitter: “Il Governo ottiene la fiducia anche al Senato. Ora l’obiettivo è rendere ancora più solida questa maggioranza. L’Italia non ha un minuto da perdere. Subito al lavoro per superare l’emergenza sanitaria e la crisi economica. Priorità a piano vaccini, Recovery Plan e dl ristori“. L’idea è di tirare dritto, senza troppi problemi, lavorando piuttosto ad allargare la maggioranza (anche se verrebbe da chiedere a chi). Il piano ora è di salire al Colle per riferire al presidente Mattarella senza presentare le dimissioni. Poi un vertice di maggioranza e l’approvazione dello scostamento di bilancio (per il quale Italia viva aveva già dato disponibilità). Poi un mese, fino a fine febbraio, per attuare quella caccia ai responsabili necessaria a consolidare la maggioranza. Il prezzo per questa perseveranza è quindi innanzitutto temporale: se tra un paio di settimane i numeri resteranno gli stessi, Conte dovrà salire al Colle, questa volta non esclusivamente per riferire la situazione. Il prezzo è innanzitutto di rischiare di ritrovarsi in una situazione di stallo dopo aver creduto di poter creare un progetto politico comune e allargato in estrema velocità.
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Poi c’è il nodo di merito: chi saranno questi costruttori? E quanti saranno? Il premier ne dovrà trovare innanzitutto cinque o sei, ma anche in quel caso potrebbe non essere sufficiente. La maggioranza ha bisogno di esser estesa ancor di più, soprattutto per il lavoro nelle Commissioni parlamentari. Inoltre la fiducia è stata ottenuta anche grazie a tre senatori a vita: Segre, Monti e Cattaneo. Ma generalmente questi senatori non prendono parte alle dinamiche e alle votazioni di Palazzo Madama. Per questo i numeri devono crescere di almeno sei unità. Nonostante tutto Conte si dice fiducioso di poter allargare la maggioranza in numeri che non richiederanno il passaggio rischioso al Conte ter. Ma come? E qui viene il secondo prezzo da pagare. Attraverso patto di legislatura, rimpasto (restano vacanti un sottosegretariato e due ministeri) e legge elettorale proporzionale. Tre elementi che – giocati bene – potrebbero attirare altri forzisti e renziani tra le fila del premier. Eppure non è un bello scenario. Non è un bello scenario rischiare di vedere un patto di legislatura diventare un mezzo per tenere in piedi un governo, peggio ancora se si tratta della legge elettorale. Ovviamente tutto questo ha un risvolto romantico: si crea un patto di legislatura condiviso ed allargato appunto per creare una compagine politica solida, in grado di rispondere alle pressioni di sovranisti e antieuropeisti. Ma sarà veramente così?
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Insomma, il prezzo da pagare è alto, il pericolo più grande è la stagnazione seguita da un rischioso Conte ter, o la creazione di compromessi (leggasi romanticamente “fronte politico unito”) in grado di tenere in piedi il governo quel tanto che basta per resistere. Ma di certo non per avere l’incisività di cui avrebbe bisogno. Ricordiamo che in Senato resterà determinante l’orientamento di Italia viva, con la quale il premier non sembra al momento disposto a dialogare. Infatti molto dipenderà anche dall’evoluzione del rapporto tra il governo e Italia viva. Il premier spera di strappare qualche senatore ai renziani. Una corrente interna al Pd crede che la rottura con tutto il partito non sia irrimediabile. E così la pensa anche Italia viva (nonostante il duro attacco di Matteo Renzi in Senato), che sembra aspettare al varco che il premier realizzi di aver bisogno dei renziani. Insomma, il premier Conte ha ottenuto la fiducia, ma è una fiducia al buio. La tela è tutta da tessere, nulla è assicurato e molto dipenderà dalla capacità del premier di mediare tra le diverse istanze. Il problema è che questo richiederà tempo, tentativi e instabilità, proprio quello che si voleva evitare con una crisi al buio. Un po’ meglio della crisi, perché un governo almeno c’è. Un po’ peggio della maggioranza precedente, perché non sappiamo che volto assumerà questo governo.
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