Previsto per oggi il voto di fiducia in Senato, dopo la maggioranza assoluta incassata ieri da Conte alla Camera, con 321 voti. Un voto atteso – quello di oggi – perché è al Senato che si giocherà la vera partita. Conte aveva in un primo tempo fatto sapere di voler andare avanti senza dimissioni anche senza maggioranza assoluta (161 voti). Ora il Corriere riporta: il premier proseguirebbe anche con meno di 155 voti. Ma quali sono gli scenari futuri?
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha incassato la maggioranza assoluta durante il voto di fiducia di ieri alla Camera. Un respiro di sollievo per l’esecutivo, ma la vera partita per Conte si giocherà nella giornata di oggi, con la votazione al Senato: lì la soglia della maggioranza assoluta (161 voti) sembra ormai lontana, nonostante i numerosi tentativi di attrarre “responsabili” con offerte e appelli. Il pallottoliere andrebbe dai 152 voti ai 157 circa. Insomma, il premier dovrebbe riuscire ad ottenere la maggioranza relativa. D’altronde, consapevole di questo scenario, già in un primo momento la presidenza del Consiglio aveva fatto sapere di voler tirar dritto, anche nel caso in cui non si riuscisse a raggiungere la soglia della maggioranza assoluta. Conte si accontenterebbe di una maggioranza relativa al Senato, riservandosi poi il tempo di allargare la maggioranza strada facendo, con un lasso di tempo più ampio a disposizione. Ora, stando a quanto riportato dal Corriere, la soglia di tolleranza si sarebbe abbassata ancor di più: si va avanti senza dimissioni anche nel caso in cui i voti scendano sotto la soglia 155. Una perseveranza che potrebbe rivelarsi deleteria: in alcune votazioni cruciali – come lo scostamento di bilancio – è necessaria la maggioranza assoluta. In quei casi, se non si riuscirà ad allargare la maggioranza in poco tempo, sarà necessario riaprire le contrattazioni di volta in volta per ottenere i voti necessari. Ma partiamo col dire cosa potremmo aspettarci oggi.
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Lo scenario di oggi sarà fortemente influenzato dai senatori presenti in aula (315 eletti e 6 a vita in tutto). Dal computo dei presenti va già eliminata la presenza di Giorgio Napolitano (per motivi di salute) e di Renzo Piano, in genere raramente presente a Palazzo Madama. Secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano mancherà anche Sandro Biasotti, senatore di Forza Italia. Queste assenze abbasseranno il quorum. A contribuire anche un fattore previsto dal regolamento: gli astenuti non sono calcolati tra i contrari. Dunque al governo basterà prendere un solo voto in più rispetto ai No per ottenere la fiducia con una maggioranza relativa. Ma a che punto la ricerca dei responsabili questo momento? Il premier partirebbe da una base di 142 voti assicurata per lo più dalla maggioranza. Seguono poi alcuni esponenti del gruppo Misto e gli esponenti del Maie, che recentemente ha assunto un connotato dichiaratamente favorevole a Conte. Così si arriva a 147. Con l’ex Pd Tommaso Cerno, Sandra Lonardo (moglie di Mastella) e Clemente Mastella si arriva a 150. Con Mario Monti e gli ex 5 Stelle si arriverebbe ad un massimo di 157. Ma qui ci si ferma. Resta il nodo dei renziani (chi sa se tutti sono rimasti fedeli al leader), e resta il nodo Riccardo Nencini, che qualche giorno fa aveva lanciato un appello ai costruttori ma che ora non sembra voler abbandonare Matteo Renzi.
Insomma, facendo due calcoli il governo potrà contare su uno spettro di voti che va da 152 a 157: non abbastanza per la maggioranza assoluta ma abbastanza per la maggioranza relativa. Ad ogni modo il premier Conte fa sapere di voler tirare dritto in ogni caso, senza presentare le dimissioni. E’ già accaduto in passato che esecutivi governassero in maggioranza relativa, soprattutto durante la prima Repubblica. Resta però un dubbio su quanto sia conveniente un’ostinazione di questo tipo, in un momento così, nonostante sia consentita dalla legge. La speranza del premier è di continuare a raccogliere consensi più in là, allargando il fronte politico. Stando alle indiscrezioni, l’idea è di consolidare l’alleanza con il Pd tramite il tanto promesso patto di legislatura e una legge elettorale proporzionale, quest’ultima rivolta anche a Forza Italia, che in questo modo potrebbe sganciarsi maggiormente dall’alleanza con Fdi e Lega. Alle altre forze si offre, oltre a promesse di riforme sensibili, “un rafforzamento della squadra” (due ministeri e un sottosegretariato). Nel frattempo i dubbi nel Pd sembrano crescere, dal partito fanno notare che si tratta di “una strada complicata“. Ma l’appoggio, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, sembra confermato.
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E cosa ne pensa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella? Lo riporta Marzio Breda sul Corriere, voce molto vicina al Quirinale, e fa sapere: Mattarella resta in silente attesa, a dimostrazione della sua imparzialità. Ma è un’attesa che guarda con attenzione a quello che sta accadendo, alla ricerca forsennata di parlamentari e soprattutto al discorso che Giuseppe Conte farà oggi al Senato. Sotto la lente di ingrandimento soprattutto le parole rivolte dal premier a Italia viva: se Conte dovesse tagliare definitivamente i rapporti, la situazione si complicherebbe ulteriormente, soprattutto per le votazioni future. Ad ogni modo, se Conte riuscisse a incassare la maggioranza relativa, legalmente potrebbe proseguire senza neanche dar vita a un Conte ter. La pratica prevede una visita al Quirinale, ma non è obbligatoria. La visita diventa tanto più necessaria, però, in caso di consistente rimpasto (cosa prevedibile, tra l’altro). Nel caso in cui invece Conte non riuscisse ad ottenere la maggioranza relativa, a quel punto Mattarella aprirebbe le consultazioni, ma con una consapevolezza ribadita più volte: la possibilità di avvicinare le diverse forze politiche creando nuove alleanze – in questo Parlamento – si è esaurita. A quel punto diventerebbe quasi inevitabile un governo tecnico.
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