A che punto siamo con la crisi di governo? Domani 18 gennaio si andrà al voto di fiducia alla Camera, ma è martedì 19 gennaio che potrebbe aprirsi la vera crisi, con la votazione in Senato. Al momento non sembra che Conte abbia i numeri necessari per la maggioranza assoluta. Incassa, però, i voti necessari per la maggioranza relativa. Quali scenari potrebbero aprirsi martedì prossimo?
Per superare la crisi di governo Conte è alla ricerca di 161 senatori in grado di sostenerlo. E’ questa la soglia che il governo Conte II dovrebbe raggiungere per ottenere la maggioranza assoluta in Senato martedì prossimo – 19 gennaio – quando il premier si presenterà in Parlamento per la fiducia. Con Italia viva all’interno della maggioranza il governo aveva tra i 165 e i 170 senatori. Senza Italia viva la maggioranza conta circa 151 voti. Per ottenere la maggioranza assoluta Conte dovrebbe dunque trovare una decina di senatori disposti a votarlo entro martedì. Un obiettivo che sembra al momento lontano, visto che al momento Conte avrebbe 155-156 senatori. Coloro che si sono aggiunti sono i senatori normalmente assenti in aula ma pronti ad esser presenti alla votazione, e circa tre senatori che hanno deciso di passare alla maggioranza. La Repubblica parla di renziani e berlusconiani.
Anche grazie all’astensione di Italia viva (già promessa dal partito stesso), in questo modo Conte dovrebbe ottenere 155 voti al Senato: non abbastanza per la maggioranza assoluta, ma abbastanza per la maggioranza relativa. E anche la maggioranza relativa consentirebbe di ratificare la fiducia nel governo. L’Italia in passato ha già conosciuto governi retti da maggioranze relative. Tra questi, i governi Cossiga, Berlusconi, D’Alema a Dini, Ciampi, Andreotti, Moro e Fanfani. Ma anche se si tratta di una possibilità consentita a livello legislativo, non sembra di certo uno scenario auspicabile, soprattutto in un momento storico delicato come questo, in cui il governo avrebbe bisogno di un potere decisionale forte, evitando il rischio di incappare in trattative, carenze di voti e temporeggiamenti soprattutto per le votazioni di provvedimenti che richiedono la maggioranza assoluta, come la legge di bilancio. Tanto più che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha già fatto sapere di non volere una maggioranza raccogliticcia.
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A complicare la crisi di governo è stata soprattutto la marcia indietro dell’Udc, che aveva iniziato un’interlocuzione con il presidente del Consiglio alla ricerca dei cosiddetti parlamentari “responsabili” o “costruttori”. L’Udc avrebbe potuto fornire al premier tre senatori e il simbolo di partito necessario per la creazione di un gruppo parlamentare di responsabili. L’Udc ha ora fatto sapere di voler rimanere al fianco di Forza Italia, commentando: “Non ci prestiamo a giochi di Palazzo e stiamo nel centrodestra. I nostri valori non sono in vendita”. Il secondo fattore che avrebbe sfasciato i piani di Giuseppe Conte su un rapido superamento della crisi di governo è effettivamente una certa coesione interna a Italia viva, alla quale il premier sperava di strappare qualche parlamentare. A commentare la situazione anche il tanto corteggiato senatore Riccardo Nencini del Psi, il quale aveva prestato il simbolo di partito a Matteo Renzi per la creazione di un gruppo parlamentare di Italia viva in Senato. Ora Nencini allontana ogni ipotesi di frattura con i renziani e ribadisce: “Serve un governo autorevole con questa coalizione per poter ripartire”. Insomma, la situazione inizia ad assumere un volto più definito e ora è possibile quanto meno individuare i possibili scenari futuri.
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Un primo scenario futuro, che è anche il più probabile, vede Conte ottenere la maggioranza assoluta alla Camera e la maggioranza relativa in Senato. A quel punto il premier non presenterebbe le proprie dimissioni al Quirinale, nonostante una maggioranza “raccogliticcia” in Senato, e nonostante il presidente della Repubblica Mattarella abbia già specificato: è uno scenario da evitare. L’idea comunque sarebbe di consolidare la maggioranza pian piano, in modo da ottenere qualche sostenitore in più in Senato una volta assestata la situazione. Nel secondo scenario invece Conte prenderebbe una fiducia a maggioranza relativa e, di fronte a una maggioranza fortemente indebolita, dovrebbe decidere se presentare le dimissioni o meno. In caso di dimissioni, Conte avrebbe modo di creare un nuovo esecutivo, con la possibilità di attribuire ai responsabili posti di governo. A quel punto potrebbe ottenere la maggioranza nelle Camere. A questi scenari si aggiungono altre due ipotesi, ormai improbabili ma comunque da tenere in considerazione: Conte ottiene la maggioranza assoluta, e Conte scende sotto quota 155 senatori. Nel primo caso il problema non si porrebbe. Nel secondo caso si aprirebbe una vera e propria crisi al buio, Conte che molto probabilmente non otterrebbe un reincarico e Mattarella darebbe il via all’inizio delle consultazioni. Tante le variabili da prendere in considerazione, dunque, tanti gli scenari. Uno peggio dell’altro.
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