Parte l’iniziativa #Ioapro, una protesta volta a riunire ristoratori, baristi e gestori di attività costretti a chiudere di fronte alle numerose restrizioni imposte dai Dpcm. La mobilitazione raccoglie aderenti su Twitter: venerdì, da Pesaro a Firenze, i gestori di attività alzeranno le serrande in segno di protesta contro le restrizioni del governo.
Su Twitter corre veloce la protesta #Ioapro, iniziata a Pesaro e ormai giunta a Bologna, Modena, Milano, Firenze. L’iniziativa inviterebbe i ristoratori a restare aperti a partire da venerdì 15 gennaio, a dispetto di quanto previsto dalle restrizioni anti-Covid imposte dal governo. A mobilitare e commentare l’iniziativa Umberto Carriera, il ristoratore trentenne proprietario di sei ristoranti nel pesarese, lo stesso che a ottobre decise di aprire uno dei locali di sua proprietà imbastendo una cena con 90 persone, a dispetto – anche allora – di quanto previsto dalle norme anti-Covid. L’imprenditore avrebbe dato il via a un’iniziativa in grado di raccogliere sempre più adesioni (Carriera parla di circa 60mila imprese), adesioni poi amplificate anche grazie al megafono “istituzionale” fornito dal leader della Lega Matteo Salvini: i due si starebbero confrontati nel corso di una diretta Facebook. “È una questione di sopravvivenza, siamo già al punto di non ritorno, ma ci proviamo lo stesso“, spiega Carriera. “Se arrivano le forze dell’ordine prenderemo la multa e la metteremo nel cassetto, prenderemo le multe fatte anche ai nostri clienti, faremo migliaia di ricorsi“. Il problema, stando a quanto ribadito da Carriera, sta anche nell’esiguità dei ristori elargiti: “Con i ristori come in Germania starei tranquillo a casa”. Poi l’organizzatore specifica: l’intento è di estendere la protesta il più possibile, al di là del mondo della ristorazione: “Ci stanno contattando migliaia di persone, anche palestre, piscine e mondo dello spettacolo. E anche i cittadini ci sostengono, ci chiedono di riaprire“.
Insomma, l’impressione è che il governo abbia tirato un po’ troppo la corda, anche in virtù del nuovo divieto di asporto alle 18, commentato da Claudio Pica, presidente della Fiepet-Confesercenti di Roma e Lazio: “Il ministro per gli Affari regionali Boccia fa sapere che il nuovo Dpcm conterrà il divieto di asporto dopo le 18. Ancora una volta si vuole colpire, ingiustificatamente, la ristorazione e la filiera dell’agroalimentare. Un comparto già duramente discriminato in più occasioni”. Una misura che potrebbe sembrare, agli addetti ai lavori, una sorta di accanimento nei confronti di un settore già piegato fortemente dalle restrizioni. Così la polveriera si fa più calda, e il legittimo malcontento dei ristoratori rischia di sfociare in proteste illegali (quelle sì, illegittime).
L’iniziativa, che aveva già ottenuto una grande visibilità sulle pagine di Libero, è stata raccolta dal leader della Lega, che su Facebook commenta al termine del collegamento: “C’è voglia di vivere tranquilli, è bene ricordare che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Per me la libertà non ha mercato, ritenevo mio dovere dare la parola a chi tutela la salute e mette al centro il lavoro“. Un palcoscenico offerto dall’ex ministro degli Interni che rischia di strumentalizzare la comprensibile frustrazione dei ristoratori e di fornire una sorta di lasciapassare politico alla protesta. Un lasciapassare che appone anche un colore politico all’iniziativa, rischiando anche di oscurarne le ragioni. A commentare l’appoggio di Salvini anche Alessia Morani (Pd), sottosegretaria al Ministero dello Sviluppo economico, che su Twitter scrive: “Salvini, ex ministro degli Interni, istiga alla disobbedienza strumentalizzando la sofferenza di una categoria in forte difficoltà come quella dei ristoratori. È il metodo Trump ed io credo sia molto pericoloso oltre che irresponsabile“. Immediata la risposta di Salvini: “Io non incito nessuno, sto facendo solo da tramite tra voi e i milioni dei miei follower“, rispondendo al dovere di far conoscere l’iniziativa “a più gente possibile“. Una risposta di comodo, evidentemente, che sembra ignorare un fatto: nei social privati la scelta di dare spazio a un contenuto piuttosto che un altro è già di per sé una dichiarazione politica.
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