“Problematico bloccare l’account Twitter di Trump”: ora l’Europa teme lo strapotere del web

Le parole di Angela Merkel ma anche del Ministro dell’economia francese Bruno Le Maire sembrano creare un fronte comune tra Francia e Germania che si schierano contro la censura operata dai social nei confronti di Donald Trump e allo strapotere del web. Il problema riguarda il bilanciamento di diritti e doveri nella platea sconfinata del web: è insomma un problema di agibilità democratica.

“La cancelliera Angela Merkel ritiene problematico che sia stato bloccato in modo completo l’account Twitter di Donald Trump”. Lo ha detto Steffen Seibert, il portavoce della Cancelliera, rispondendo a una domanda sull’argomento. “È possibile interferire con la libertà di espressione, ma secondo i limiti definiti dal legislatore, e non per decisione di un management aziendale”, ha proseguito. Donald Trump è stato cacciato dai social prima di essere cacciato dalla Casa Bianca, ma il problema non è solo americano e la preoccupazione non è solo tedesca. Ad unirsi al timore della cancelliera c’è anche la Francia, attraverso le parole di Bruno Le Maire, il Ministro dell’Economia francese, che ha dichiarato ai microfoni di radio France Inter: “La regolazione dei giganti del web non può essere fatta dall’oligarchia digitale stessa. Ciò che mi sciocca è che sia Twitter a decidere di chiudere il profilo di Trump. Ciò che mi sciocca è che sia Twitter a decidere di chiudere il profilo di Trump”.

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Chi stabilisce, allora, le regole del gioco? Il Regolamento sui servizi digitali, il Dsa; e il Regolamento sui mercati digitali, il Dma, dovrebbero a questo proposito mettere fine agli abusi dei colossi del web. Ma così non è. E lo strapotere, così forte, sembra essere una vera e proprio oligarchia. Le piattaforme sono diventate colossi, godendo di un potere enorme: possono decidere chi far restare, chi far uscire, stabilendo di fatto la regolamentazione della Rete. Eppure, a questo proposito, la legislazione al riguardo prolifera.

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Manfred Weber, capogruppo del Ppe ed europarlamentare tedesco, ha chiarito che non è più possibile, ormai, che siano le società americane di Big Tech a decidere” come discutere e non discutere, cosa si possa e cosa non si possa dire in un discorso democratico. Abbiamo bisogno di un approccio normativo più rigoroso”. Non spetta insomma ai social – né a Facebook né a Twitter – stabilire cosa è o non è accettabile, cosa è concesso e cosa non lo è. Eppure, la faccenda sembra andare proprio così.

L’Europa ha paura, perché?

Perché, quindi, l’Europa si muove a favore del Repubblicano? Perché, in sostanza, teme che ciò che è accaduto a Donald possa colpire chiunque. Se, infatti, neanche la carica di Presidenza dell’America ha bloccato le bigh tech, allora perché potrebbero o dovrebbero fermarsi dal bloccare una Angela Merkel o uno Giuseppe Contequalunque”? Proprio a fine settembre di quest’anno le Big Tech sono state coinvolte in accuse di monopolio e si erano presentate dinanzi al Congresso Americano dopo che la Commissione di Giustizia del Congresso Usa ha rilasciato il suo rapporto conclusivo frutto di 16 mesi di indagini. Rapporto dove si sottolinea come Amazon, Apple, Facebook, Google siano diventati dei monopolisti, chiedendo subito un aggiornamento delle regole antitrust. A imitazione, anche la Commissione Europea ha iniziato a muoversi per disposizioni legislative capaci di arginare il potere e il comportamento invasivo delle Big Tech.

Nel rapporto del Comitato Antitrust della Commissione di Giustizia del Congresso USA si sottolineavano gli abusi di potere esercitati quotidianamente da Google, Apple, Amazon e Facebook. Se Amazon era accusata di ostacolare i concorrenti, così come la Apple, Facebook era stata accusata di esercitare un potere monopolistico sui social, in nome del rispetto di una privacy e della lotta alla disinformazione. Questione simile per Google, accusata di esercitare lo strapotere come motore di ricerca, acquisendo informazioni anche da parti terze, senza alcuna autorizzazione.

Un problema di agibilità democratica

Similmente, in Italia, arriva la condanna da parte di Massimo Cacciari, che non si è detto dispiaciuto circa le sorti di Trump: “È una questione di principio. Ha dell’ incredibile che un’impresa economica la cui logica è volta al profitto, come è giusto che sia, possa decidere chi parla e chi no”. Il filosofo ha parlato di una manifestazione di una crisi radicale dell’idea democratica, in un’intervista a “La Repubblica”. In effetti, il blocco operato dai social contro Trump è un problema di agibilità democratica, che tocca il delicato bilanciamento tra diritti e doveri proprio nella platea sterminata del web, platea in cui le regole sono liquide, i confini mobili e la rigidità delle regole viene meno.

E’ inaudito, dice Cacciari, che un personaggio politico sia costretto a fare politica in base alle decisioni di chi detiene potere sui mezzi; perché è solo sui social che, oggi, si fa politica. A scegliere per Trump non è stato un garante per la privacy, ma un pezzo d’economia. E no, non avrebbe dovuto farlo anche se Donald Trump, evidentemente, parla e spesso parla male. Che è certamente vero che il Repubblicano spesso incita all’odio, alla violenza; ma la decisione non può spettare né a Twitter, né a Facebook, che non sono lo Stato, ma dei privati economici. Capire e gestire gli strumenti di comunicazione e di informazione è un punto decisivo per la democrazia; la stessa democrazia dove, ciascuno, potrebbe e dovrebbe sentirsi libero di poter parlare senza qualcuno pronto a tappare la bocca quando qualcosa non garba.

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