Domenico Arcuri è uno dei protagonisti della pandemia da Coronavirus in Italia. Ma chi è e perché Giuseppe Conte lo ha scelto?
Tra i numerosi volti che vediamo da tempo alternarsi affianco a Giuseppe Conte – come supporto, sostegno o ruolo tecnico – c’è lui, Domenico Arcuri. Lo sentiamo nominare spesso, insieme al Capo della protezione civile Angelo Borrelli – che da un po’ di tempo, in verità, non si vede né si sente più – e ad altri che hanno affiancato il Presidente del Consiglio in questi lunghi e difficili mesi. Arcuri è stato nominato dal Governo commissario delegato per la gestione dell’emergenza Coronavirus e il suo obiettivo avrebbe dovuto essere il controllo e il miglioramento dell’efficienza della distribuzione di strumenti sanitari. Il condizionale però è d’obbligo, dal momento che i suoi errori sembrano essere più forti dei meriti. Ciò che sembra aver caratterizzato il suo operato sembra l’improvvisazione, più che la programmazione. Matteo Richetti, senatore di Azione, ha così scritto su Twitter: ” Continui proclami a giorni alterni. Risposte alle preoccupazioni delle Regioni direttamente attraverso le conferenze stampa. Mentre vi mettete d’accordo su quali ministri ‘rimpastare’ iniziate andando sul sicuro: cambiate Arcuri”. E il suo malcontento sembra essere condiviso.
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Andiamo per ordine e partiamo dall’ultima vicenda che lo vede nuovamente sotto accusa. Un servizio di “Report” ha fatto luce su qualche aspetto controverso circa la gestione dei fondi messi a disposizione delle imprese da Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti, guidata da Arcuri – per la riconversione industriale e la produzione di mascherine chirurgiche. A Marzo, in piena emergenza Covid-19, Invitalia assegnava un finanziamento a fondo perduto di 50 milioni di euro a 130 aziende, molte delle quali si riconvertivano per produrre mascherine. Una misura del decreto Cura Italia secondo cui, però, la riconversione doveva avvenire entro 15 giorni dall’ottenimento del finanziamento. Secondo l’imprenditore Maurizio Corazzi, la sua azienda avrebbe ottenuto un finanziamento senza essere riuscita a terminare la riconversione entro 15 giorni. Per questo, dovrà restituire il finanziamento.
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Mascherine dalla Cina?
Ma riconvertire non è così semplice e il problema non sembra essere stato preso in considerazione. L’AlterEco, l’azienda di Corazzi – così come altre aziende che non sono riuscite a rispettare i tempi per la riconversione – dovranno restituire il finanziamento e vendere le mascherine prodotte all’estero. Ma Domenico Arcuri è coinvolto anche in un’altra faccenda, l’acquisto delle mascherine dell’Italia dalla Cina. Anche se Arcuri ha smentito, secondo Report l’ultimo acquisto di mascherine cinesi sarebbe stato fatto l’11 settembre. Ed incastrarlo c’è la testimonianza di Davide Miggiano, Responsabile Dogane dell’Aeroporto di Fiumicino, secondo cui a novembre alcuni voli della compagnia Neos avrebbero portato in Italia circa 40 tonnellate di mascherine. E c’è poi l’accusa di corruzione proprio sull’appalto e sulla maxivendita di mascherine.
Problema vaccini
E non è andata meglio con l’operazione vaccini. Alla mancanza di vaccinatori – oltre che delle fiale poi arrivate, anche se in ritardo, Arcuri ha risposto solo l’11 dicembre quando ha pubblicato il bando necessario a reclutare 3 mila medici e 12 mila infermieri necessari per l’operazione vaccino. Un bando con scadenza prorogata e piena di errori e di imprecisioni, come i guadagni. Ma non è tutto perché, andando avanti nel tempo, sappiamo che le regioni più virtuose riceveranno più vaccini. Una specie di punizione secondo cui, le Regioni che hanno già somministrato tutte le dosi ricevute ne potranno avere altre. Sono “virtuose” le Regioni che in questa prima fase stanno dimostrando di riuscire a smaltire attraverso un numero elevato di somministrazioni più rapidamente le dosi.
“Nessuna punizione e nessun allarme sulla mancanza di dosi, piuttosto un sistema pensato ad hoc per il caso di una fornitura molto piccola come quella arrivata da Moderna in questa prima tranche”, è stata la spiegazione del team di Arcuri raggiunta da Open. Eppure, la vaccinazione contro il Covid-19 ha tutto il sapore di una maratona, di un concorso a premi, con chi arriva prima che esulta – come la Campania di De Luca o il Veneto di Zaia che ribatte il primato. Ma qui non si vince nulla e il premio è la salute. E, tra l’altro, se il criterio principale della decisione di “virtuoso” o “meno virtuoso” fosse quello della percentuale di dosi iniettate a fronte di quelle ricevute, la Lombardia sarebbe una delle prime Regioni a non ricevere nulla. Al contrario, con il 53,4% di somministrazioni attuali, il territorio di Fontana riceverebbe una quantità ulteriore di vaccino. Ma il Lombardia sono oltre 80 mila le dosi arretrate che non verrebbero smaltite, non ora. Rimane indietro anche la Calabria, con 42,7%; e la Provincia autonoma di Bolzano, ultima con il 29,5% di somministrazioni e un arretrato attuale di quasi 9 mila dosi.
Il tempo sprecato
E ci si ricorderà, inoltre, delle polemiche di pochi mesi fa fa quando si ripeteva l’incubo già vissuto all’inizio dell’emergenza pandemica: i contagi sfioravano numeri altissimi e gli ospedali iniziavano il collasso. Era la seconda ondata ed era Domenico Arcuri, già allora, che doveva prendere in mano la situazione. Il punto, è che all’inizio della seconda ondata – rispetto alla prima – c’era stato più tempo per prepararsi. C’era stata l’estate per prendere provvedimenti adeguati che avrebbero potuto evitare gli stessi errori della scorsa primavera. Già a luglio il Ministero della Salute avrebbe trasmesso ad Arcuri i progetti delle Regioni: ma si è proceduto per deroghe e rimandi. E così l’Italia è arrivata tardi, di nuovo. Fascicoli sul tavolo, decisioni rimandate, riorganizzazioni mancate: la gestione di Arcuri può riassumersi così. E attorno a lui sono più le ombri che le luci, durante questi intricati mesi di emergenza pandemica.