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Cronaca

Covid: a sei mesi dall’infezione il 76% dei pazienti ha ancora almeno un sintomo

Uno studio su Lancet mostra che a sei mesi dall’infezione rimane ancora almeno un sintomo. Tra i sintomi del Covid non solo affaticamento, dolori muscolari, insonnia, depressione. Ma anche difficoltà respiratorie e problemi renali. 

Molti dei pazienti che hanno riscontrato l’infezione da Covid sono guariti ma non hanno continuato a soffrire di almeno un sintomo collegato alla malattia. Non sempre l’uscita dall’ospedale coincide con la fine dei problemi Anzi: fino a tre quarti dei pazienti continua a soffrire almeno di un sintomo collegato alla malattia a sei mesi dalla dimissione. È quello che oggi viene definito long covid: la coda lunga di un virus che non sembra intenzionato a lasciarci in pace neanche al termine dell’infezione. Un fenomeno confermato da un ampio studio cinese pubblicato su Lancet. Lo studio ha analizzato lo stato di salute di oltre 1.700 pazienti contagiati nel primo focolaio di Wuhan nei mesi successivi all’uscita dall’ospedale.

La ricerca è di una certa importanza, perché è la prima a fornire un responso sugli strascichi di salute legati a Covid 19. I pazienti esaminati sono abbastanza e rappresentativi della popolazione generale, dato fondamentale per lo studio. E quel che emerge è un responso netto: per un paziente abbastanza grave da meritare il ricovero, il ritorno alla normalità è un percorso lungo, e tutto in salita.

Long Covid: i sintomi dei pazienti dopo la malattia

“I risultati sono piuttosto affidabili, e ci danno un quadro abbastanza completo delle conseguenze a lungo termine di un’infezione causata dalla variante virale circolata a Wuhan”, ci ha spiegato Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e primario emerito del dipartimento di nefrologia dell’ospedale di Bergamo. Il dottore Remuzzi insieme ai colleghi Monica Cortinovis e Norberto Perico ha firmato un commento uscito sul Lancet in concomitanza con la pubblicazione dello studio.

“Il 76% dei pazienti seguiti nello studio ha mostrato di avere almeno un sintomo persistente nei sei mesi seguenti alla dimissione: il 63% dei pazienti ha sperimentato affaticamento e debolezza muscolare, il 26% una qualità del sonno compromessa, e il 23% ansia o depressione”.

Oltre questi sintomi, però, anche i problemi polmonari legati al Covid 19 hanno continuato a presentarsi in molti pazienti, anche ben oltre il termine della malattia. Il 56% dei pazienti che ha necessitato di ventilazione meccanica durante il ricovero presentava ancora una riduzione della funzione respiratoria al termine dei sei mesi di follow up. Il 29% di quelli che avevano richiesto la semplice somministrazione di ossigeno e il 23% di quelli che non avevano avuto bisogno di supporto respiratorio.

Danni polmonari e renali, le frontiere per il SSN

“Si tratta di informazioni preziose che dovrebbero aiutarci a preparare il nostro Sistema Sanitario Nazionale per affrontare i bisogni di salute che avranno i pazienti Covid nei prossimi anni”, continua Remuzzi. “Lo studio ha rivelato che i danni polmonari permangono in una percentuale importante dei pazienti. Circa in un 13% dei casi sembrano presentarsi anche problemi renali nei mesi seguenti alla guarigione. Disturbi a lungo termine che necessiteranno di assistenza, e che in una percentuale potrebbero peggiorare fino a richiedere un trapianto d’organo. Una buona notizia invece è l’assenza di trombosi venose nei pazienti analizzati. Questo era un pericolo che temevamo si potesse presentare con una certa frequenza e che ora invece sembra scongiurato”.

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Infezioni future e vaccino

Un ultimo dato interessante che emerge dallo studio cinese è infine quello sulla permanenza di anticorpi neutralizzanti nell’organismo dei pazienti. Parliamo degli anticorpi capaci di impedire la replicazione di Sars-Cov-2, e la cui presenza in alte quantità è sinonimo di immunità a nuove reinfezioni. A sei mesi dall’esordio della malattia i ricercatori hanno notato un crollo del 50% rispetto ai livelli riscontrati al picco dell’infezione. Ciò significa che è molto probabile che in futuro ci potrebbero essere reinfezioni, problema che sembra essere fin troppo concreto. “I dati raccolti negli ultimi mesi, in effetti, sembrano indicare che l’immunità al virus dura per non più di 6/12 mesi in caso di infezioni naturali”, conclude Remuzzi.

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“Nel caso dei vaccini ovviamente la situazione è differente. Serviranno studi ad hoc nei prossimi mesi per capire quanto a lungo durerà l’immunità indotta con questo mezzo. La speranza ovviamente è che l’Italia possa contribuire a questo genere di ricerche, così come a quelle indirizzate a comprendere gli effetti a lungo termine della malattia nei pazienti più gravi, quelli ricoverati in terapia intensiva, che nello studio dei colleghi cinesi rappresentavano una percentuale troppo piccola per fornire dati affidabili”.

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