Stanchezza, fiato corto e affaticamento: i sintomi del «Long Covid»

Ci sono guariti che in realtà non guariscono. Gli esperti studiano la sindrome da «Long Covid»: più colpite le donne. Incidono anche età e peso

sintomi long covid

Si chiama sindrome «Long Covid» o «post Covid» e indica quei pazienti negativi al tampone ma in realtà mai guariti dal Coronavirus. Perché se è vero che in molti casi chi contrae l’infezione di Sars-Cov-2 n0n sviluppa sintomi o ne sviluppa di lievi, è altrettanto vero che – in alcuni casi – ci sono pazienti che accusano malesseri anche per settimane o mesi dopo la guarigione virologica.

Gli studi sul «Long Covid»

Ciò che sappiamo dalle ricerche effettuate finora è che i sintomi più diffusi del «Long Covid» sono il mal di testa, l’affaticamento, la mancanza di respiro e la perdita di gusto e olfatto duratura. A novembre su Thorax, rivista del British Medical Journal, sono stati resi noti i risultati di uno studio condotto su 384 pazienti ricoverati in ospedale per Covid. I dati ci dicono che – a due mesi dalle dimissioni – il 53% di loro ha accusato mancanza di fiato e il 69% affaticamento. Il 34% dei pazienti ha continuato ad avere tosse persistente, il 15% ha mostrato i primi segni di depressione e il 9% peggioramenti nelle radiografie al torace.

Un’analisi del King’s College di Londra, condotta attraverso l’app «Covid Symptom Study», dimostra invece che il 13% dei pazienti dimessi ha mostrato sintomi oltre 28 giorni e il 4% ha avuto problemi di salute per oltre 56 giorni. Il 2,3%, infine, per oltre tre mesi. «Coloro che utilizzano l’app tendono ad essere nella fascia più in forma della popolazione, con un interesse per le questioni di salute. Quindi è sorprendente che una percentuale così elevata manifesti ancora sintomi uno o due mesi dopo l’infezione iniziale. Perché, in generale, queste non sono persone a rischio elevato». Ad affermarlo è Frances Williams, professoressa di epidemiologia genomica del King’s College e autrice di un articolo pubblicato su The Conversation sul tema, citato dal Corriere della Sera.

I danni agli organi

Ma quali sono i fattori di rischio? Lo studio del King’s College di Londra (non ancora sottoposto a revisione paritaria) evidenzia che i pazienti con almeno cinque sintomi nella prima settimana di malattia sono maggiormente esposti alla sindrome «Long Covid». Anche l’età avanzata sembra essere un fattore di rischio così come il genere o il peso. Un’altra indagine, anch’essa in attesa di revisione, su un campione di 200 pazienti dimostra come il virus abbia colpito diversi apparati. Il campione sotto esame aveva un’età media di 44 anni e il solo 18% era stato ricoverato. Il 32% di loro ha subìto danni al cuore, il 33% ai polmoni, il 12% ai reni e uno su quattro a più organi.

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Le terapie ormonali

«Mentre gli uomini sono esposti a un maggior rischio di sviluppare una forma grave di Covid-19, le donne sembrano essere più colpite dalla sindrome post-Covid ed è possibile che questo rifletta il loro stato ormonale diverso o mutevole», aggiunge Williams. «Il recettore ACE2 che il Coronavirus Sars-CoV-2 utilizza per legare le cellule umane e penetrare al loro interno è presente non solo sulla superficie delle cellule respiratorie, ma anche sulle cellule di molti organi che producono ormoni, tra cui la tiroide, le ghiandole surrenali e le ovaie. Essendo alcuni sintomi di “Long Covid” sovrapponibili a quelli della menopausa, i farmaci per la terapia ormonale sostitutiva potrebbero in tal senso rappresentare una strada per ridurre l’impatto della sindrome post-Covid».

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«Long Covid» e stanchezza

Un recente studio pubblicato su PlosOne ha dimostrato che l’affaticamento è un sintomo comune post Covid. Si verifica in più della metà dei casi e non sembra correlato alla gravità della malattia. Inoltre, alcuni test hanno mostrato che i guariti non avevano livelli elevati di infiammazione: da ciò si deduce che l’affaticamento non era provocato dal persistere dell’infezione o da un’eccessiva risposta del sistema immunitario. Conclude Williams: «I fattori di rischio per i sintomi di lunga durata in questo studio includevano l’essere donne (in linea con lo studio sull’app, ndr) e, cosa interessante, avere una precedente diagnosi di ansia e depressione».

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