Diversi studi stanno facendo emergere nuove varianti di Covid-19: parlando di immunità, cosa succede, allora, quando i guariti dall’infezione incontrano il virus mutato? Alla domanda prova rispondere l’esperto Rino Rappuoli.
Con la scoperta di nuove varianti di coronavirus, gli scienziati si interrogano non tanto sull’efficacia dei vaccini – che al momento paiono funzionare senza grossi problemi – quanto piuttosto alla cosiddetta “immunità naturale“. Invero, il mondo scientifico si domanda se le persone guarite dall’infezione da Covid-19 possano aver sviluppato degli anticorpi in grado di proteggerle anche contro i virus mutati. Come riportato da Repubblica, a gettare qualche spiraglio di luce sulla faccenda è stato Rino Rappuoli, a capo di un gruppo di ricerca che ha studiato in laboratorio le cellule dei guariti e le ha messe a contatto con il virus mutato.
Secondo quanto emerso dallo studio di Rappuoli (tra i massimi esperti di vaccini al mondo), a capo della ricerca di Glaxo Vaccines, il virus sarebbe in grado di “generare varianti capaci di evadere l’immunità del plasma delle persone guarite e ancora convalescenti” dalla malattia di Covid-19. Si tratta, e questo lo sottolinea, di guariti però che non sono stati vaccinati – con la vaccinazione l’immunità acquisita è infatti diversa, “artificiale”. Ad ogni modo, lo studio condotto dimostra come l’immunità naturale, ovvero quella sviluppata da un corpo che ha sconfitto il Covid-19, non è in grado proteggere le cellule da una seconda infezione se il Sars-Cov-2 è mutato.
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“In pratica abbiamo visto che, se il virus viene incubato per lungo tempo insieme a un siero immune, con tre step può diventare totalmente resistente alla immunità naturale. Il primo step che abbiamo trovato è simile quello descritto nella variante inglese”, ha spiegato Rappuoli ai giornalisti che lo hanno intervistato. “Il fatto molto rassicurante è che l’anticorpo che stiamo sviluppando è capace di neutralizzare la variante virale resistente all’immunità naturale. Questo non garantisce che sia in grado di neutralizzare tutte le varianti che potrebbero svilupparsi in futuro, ma è un segnale molto incoraggiante”, ha tuttavia sottolineato l’esperto. E ha poi concluso: “Non dobbiamo rilassarci ma continuare a studiare il virus per cercare di essere un passo avanti a lui”.
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Ad ogni modo, il lavoro è ancora in fase preliminare ed è apparso soltanto su bioRxiv, una rivista che pubblica resoconti di ricerche non ancora approvate dalla comunità scientifica. Altri studi e approfondimenti in merito dovranno essere effettuati in merito a questo aspetto – a tratti preoccupante – del nuovo coronavirus.
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