Una specie di tassa patrimoniale è presente grazie all’aumento del tributo sulle rendite catastali. Si valuta la riorganizzazione delle tassazioni sui redditi patrimoniali.
Si discute da diverse settimane dell’eventualità dell’immissione di una tassa patrimoniale. L’argomento è tornato di moda per consentire un recupero, in regola con le norme in vigore, di denaro attraverso un nuovo sistema fiscale. Ma c’è chi porta alla luce la presenza di una serie di tributi, che in un certo senso possono riportare la mente a una tassa patrimoniale. Un tributo con denominazioni diverse, ma che vale e soprattutto funziona allo stesso modo. In particolare per alcuni settori in cui sarebbe già in vigore, come il mercato immobiliare e la gestione dei conti correnti.
Prendiamo in esame la tassa dell’Imu su una seconda casa. Questa presenta una aliquota che arriva fino al 185% sul reddito. In questo caso, si parla di valore patrimoniale come di un multiplo della rendita catastale. Dunque si può parlare di un vero e proprio tributo che riguarda il reddito, e su di esso viene bilanciato e soppesato. Possiamo fare un esempio pratico in tal senso. Se si valuta un appartamento con rendita catastale di circa 720 euro e di un ufficio che ha invece un valore di rendita che supera i 4.460 euro. Ci renderemo conto che le cifre saranno inevitabilmente diverse.
Una tassa patrimoniale per case e uffici?
Non solo perchè ci riferiamo a spazi diversi, visto che da una parte troviamo un appartamento per uso domestico e dall’altra facciamo riferimento a un ufficio. Ma anche dal punto di vista legale e tributario troviamo aliquote e tassazioni diverse. Come il già menzionato 185% di aliquota previsto dall’Imu. Tra le altre cose, la Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità del divieto di deduzione nel calcolo del reddito di impresa. Una situazione che, però, non vale per un privato che ha in possesso un immobile e lo cede con regolare contratto di locazione.
Per quanto riguarda gli uffici, invece, vige una aliquota marginale del 43% alla quale bisognerà calcolare anche l’Imu. In questo modo, la tassazione sull’immobile ammonterà addirittura al 71%. Una mannaia che rischia di far venire meno i principi previsti dalla Costituzione in materia di tributi. In questo caso, parlare di tassa patrimoniale è azzeccato fino a un certo punto. Tra le altre cose, visto che parliamo di un ufficio non si può optare per la cedolare secca. Ma c’è di più: il proprietario deve pagare l’Irpef sull’incasso lordo, in quanto non può dedurre l’Imu.
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Colpiti anche gli investimenti finanziari
Ma come abbiamo detto, anche il settore finanziario prevede una “tassa patrimoniale mascherata”. Tutto risale al 1992, quando il Governo retto da Giuliano Amato inserì il prelievo del 6 per mille dai conti correnti degli italiani. Questo prelievo è presente ancora oggi, “travestito” da imposta di bollo, e soprattutto è ben superiore al 6 per mille. Ma se quasi trent’anni fa si operò solo sui saldi dei conti correnti, ora il calcolo viene fatto anche sull’intera consistenza dei depositi titoli presso le banche. E non esiste alcun legame con il rendimento del conto stesso.
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Dunque, un’eventuale riorganizzazione delle tassazioni sui redditi patrimoniali – meglio noti all’estero come redditi passivi – sarebbe vista in maniera quasi positiva. Se non altro perchè verrebbe rimodulata questa lunga serie di tributi mascherati. Anche perchè, come si può intuire da questa lunga serie di piccole tasse (ma significative se messe tutte insieme) porta di fatto a una tassa patrimoniale non dichiarata, ma comunque presente. Una situazione che, purtroppo, accomuna chi lavora regolarmente e chi evade – anche in questo caso regolarmente – le tasse.