Il commissario europeo per gli Affari economici Paolo Gentiloni esorta sul Recovery: “Il Parlamento crei corsie preferenziali. Nessuna autorità politica o tecnica può fare miracoli se non si sbloccano i colli di bottiglia sul piano normativo”. Paolo Gentiloni commenta anche i contenuti del Recovery italiano: la parte generale è “coerente con le priorità indicate dalla Commissione Ue”, ma “le spese da fare devono essere prevalentemente su investimenti e riforme. Non bastano gli incentivi, che pur non essendo esclusi non sono una priorità”.
“Per garantire il successo del Recovery Plan l’Italia deve introdurre procedure straordinarie con leggi capaci di accelerare gli investimenti“. E’ il messaggio lanciato dal commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni, che fa il punto della situazione su La Repubblica. Il vero problema della situazione italiana, secondo Gentiloni, non riguarda un particolare ritardo italiano nella presentazione del Recovery Plan a Bruxelles, che al momento non c’è. La vera preoccupazione riguarda attuazione e esecuzione del piano: “Non mi preoccupano le scadenze di queste settimane, non c’è un particolare ritardo italiano piuttosto penso alla seconda metà del 2021 e nel 2022, va evitato il rischio di mancare un appuntamento storico“. E per evitare di mancare all’appuntamento, è necessario che l’Italia rispetti i criteri stabiliti dalla Commissione europea. I criteri potrebbero essere riassunti nell’evitare spese dannose e inefficaci, spiega Gentiloni. Ma ciò che “mi preoccupa di più è l’attuazione del piano. Questi fondi vanno impegnati entro il 2023 e spesi entro il 2026. Servono quindi procedure straordinarie e corsie preferenziali“. E poi ancora, a proposito dell’esecuzione, Gentiloni cita Mario Draghi: “Una volta definiti gli obiettivi, la vera sfida è l’esecuzione, come ha ricordato Draghi. Solo il Parlamento può creare queste corsie preferenziali e procedure straordinarie. Servono leggi. Bruxelles ha chiesto chiarezza negli interlocutori sul piano: ogni governo si dia le strutture ad hoc che preferisce. Ciò che importa è che siano efficaci“. Insomma, l’Italia ha bisogno di efficienza, organizzazione, in una parola: di leggi apposite per snellire l’iter burocratico nel processo di attuazione del Recovery.
Insomma, il questo quadro l’Italia si trova a doversi liberare di una zavorra che si porta avanti da tempo, e che più volte nel corso degli anni è stata sottolineata dalla Commissione: la lentezza, la burocrazia, la disorganizzazione amministrativa, che spesso ha comportato difficoltà nello spendere risorse dell’Ue che pure erano state stanziate. Ma questa volta l’Italia non può proprio permettersi di cadere preda dei suoi problemi strutturali storici. “Il diavolo – dice l’ex premier – non è nei dettagli del piano ma nelle procedure per eseguirlo. Vista l’esperienza che abbiamo in Paesi come Italia e Spagna sulla difficoltà dell’assorbimento delle risorse europee si tratta di una sfida enorme perché questi fondi vanno impegnati entro il 2023 e spesi entro il 2026. Servono quindi procedure straordinarie e corsie preferenziali, ovvero uno sforzo straordinario”.
A proposito dei contenuti della bozza, invece, Gentiloni sottolinea: nella parte generale della bozza di Recovery l’Italia sembra aver ben rappresentato quelle che sono le intenzioni del progetto. Ci sono tutte le priorità indicate dalla Commissione su rivoluzione green e digitalizzazione. “Su questo l’Italia è in linea e sono certo che il confronto politico e con le parti sociali potrà arricchire la proposta iniziale”. Poi però, sui contenuti del Recovery, Gentiloni specifica: “Le spese da fare devono essere prevalentemente su investimenti e riforme. Non bastano gli incentivi, che pur non essendo esclusi non sono una priorità”. Il riferimento potrebbe riguardare il superbonus edilizio (22 miliardi di euro nell’ultima bozza del piano). “Poi ci sono alcune spese che la Commissione Ue in generale non considera accettabili: quelle che danneggiano l’ambiente o che tendono a favorire consensi effimeri. Questa tipologia di spese non è prevista dai piani finanziati col debito comune. Ciò significa che se i governi scriveranno piani con questi interventi, saranno rivisti dalla Commissione Ue”.
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Insomma, l’Italia si trova di fronte a un momento storico. Non solo perché deve trovare il modo di spendere in maniera efficace una ingente quantità di risorse (alcune a fondo perduto, altre tramite prestiti a tassi agevolati) in un periodo di svolta dell’Unione europea, ma anche perché deve farlo – contestualmente – superando una sua criticità strutturale: la farraginosa amministrazione. L’istanza è evidente: è necessario alleggerire l’apparato burocratico, velocizzare il Paese non solo proiettandolo verso il futuro, ma verso una legislazione più agile. Lo ripete la Commissione, lo ripete Conte, con il suo tentativo di task force di tecnici, e lo ripete Gentiloni, affidando il compito al Parlamento. Strade diverse, per un bisogno che appare condiviso. Lo ripete anche Renzi, che con la fatidica riforma costituzionale aveva sottolineato l’esigenza di superare il bicameralismo paritario dell’Italia (meglio utilizzare “paritario”, perché “perfetto” non lo è) con l’intento di velocizzare l’iter legislativo del Paese. Sono tante le questioni sul tavolo. E tutte convergono in un collo di bottiglia: la difficoltà nel legiferare produce – paradossalmente – l’adozione di percorsi tecnici, task force, commissioni, decreti e Dpcm, che esautorano il Parlamento. La troppa rappresentatività che esautora la rappresentatività stessa. E per sbrogliare la matassa, tanti sono i punti da cui iniziare.
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Tra le considerazioni a latere: un conto è la legislazione, un conto è l’amministrazione dei progetti. Gentiloni consiglia premere l’acceleratore sulla prima: solo una legislazione più adeguata garantirebbe una più snella amministrazione. Conte sembrava più propenso a creare un apparato di tecnici parallelo, in grado (anche attraverso poteri sostitutivi) di by-passare quelle che potevano essere impasse nella gestione delle risorse. I problemi dell’Italia riguardano entrambi i fronti. Una fonte della Commissione europea, come riportato dal Post, avrebbe spiegato che tra le principali criticità italiane evidenziate dalle istituzioni europee, ci sono le figure stesse inserite nella amministrazione pubblica, una delle motivazioni per cui l’Italia fatica a spendere i soldi dell’Ue. Nel 2012 la Commissione pubblicò un position paper (PDF) in cui spiegava che l’Italia aveva “debolezze profondamente radicate”. La Commissione si impegnò a interagire con i governi per risolvere l’annosa questione. “Poi i governi e i ministri sono cambiati, le regioni hanno cambiato amministrazione: noi abbiamo cercato di seguirli, poi abbiamo passato la palla all’Italia e lì la cosa si è arenata”. Il problema riguarderebbe anche le modalità “ottocentesche” di assunzione di dipendenti e collaboratori, attraverso bandi per dirigenti e funzionari ancora incentrati su argomenti di diritto civile, amministrativo e penale.
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Non è una questione da poco: anche a causa della sballata selezione del personale, i progetti proposti dalle amministrazioni locali restano gli stessi stanziati anni prima, lasciati a stagnare in attesa della giusta occasione. In altre occasioni, sono i progetti promessi dai politici locali in campagna elettorale. Questa criticità ha avuto modo di strisciare fino ad oggi, fino al Recovery plan. I progetti creati localmente sono gli stessi che poi vengono proposti ai governi per ottenere le risorse. A questo si aggiungono i problemi legati all’Ue stessa, che nel corso del tempo ha visto proliferare leggi, direttive, commissioni ad hoc. Un’evoluzione necessaria, vista l’esigenza di regolamentare settori sempre più complessi e interconnessi: è evidente che chiunque, dall’amministrazione locale all’Ue, preferisce affidarsi organi di controllo, consulenza e coordinamento. Ne è un esempio la proliferazione di agenzie indipendenti, che a livello europeo erano due negli anni ’80: ora sono 51. Insomma, in Italia si sta verificando la conferma di una legge politica: prima o poi tutti i nodi vengono al pettine. Il problema, è che la resa dei conti sta avvenendo in un momento storico delicatissimo. Bisogna reinventarsi, e farlo in fretta. Pena: gettare un’occasione unica, cadere preda definitivamente delle proprie contradizioni.
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