Il fenomeno del food delivery ha attecchito ancor di più nel nostro Paese. Sia la consegna della spesa che quella delle pietanze pronte è letteralmente esplosa nel 2020.
Ci siamo passati tutti, specialmente in questi mesi in cui uscire di casa era letteralmente impossibile. Tra un lockdown generalizzato e una fase di chiusura per i nostri locali preferiti, abbiamo dovuto fare ricorso all’acquisto di cibo da casa. Ma ci sono passate anche le persone impossibilitate a uscire, anche solo per fare la spesa. Il fenomeno del food delivery è stata un’ancora di salvezza alla quale ci siamo affidati in tanti, in questo 2020 difficile per tutti. E ad analizzare la situazione di questo fenomeno è stata Just Eat, società che punta fortemente su questa pratica.
Possiamo leggere gli ultimi dati in merito al 2020, nella quarta edizione dell’Osservatorio Nazionale dell’azienda. La piattaforma è presente in Italia in ben 1.200 città e collabora con oltre 16mila ristoranti associati. E il rapporto annuale è quasi trionfalistico per la regina del food delivery: “Il 2020 ha rappresentato per il mercato del digital food delivery un anno di svolta con una crescita significativa che lo ha portato a rappresentare tra il 20% e 25% dell’intero settore del domicilio e ad affermarsi anche come essenziale agli occhi degli italiani. Nei mesi di lockdown il mercato ha visto anche un’importante espansione e il rafforzamento della presenza territoriale arrivando a servire il 100% delle città con più di 50.000 abitanti e il 66% degli italiani“.
Food delivery in incremento
Dunque sono circa 40 milioni gli italiani coperti dal servizio di food delivery nel nostro Paese. E rispetto al 2019 si registra un forte incremento nella “rappresentanza” di Just Eat nel settore. Lo scorso anno, infatti, la consegna “digitale” di cibo a domicilio ha rappresentato una fetta pari al 18% dell’intero mercato del delivery alimentare. Ciò vuol dire che una porzione maggiore di italiani ha dovuto fare ricorso alla ricezione domiciliare di qualsiasi genere alimentare. Ne hanno certamente giovato gli stessi ristoratori, che hanno potuto guadagnare qualcosa in tempi di magra.
Le reazioni alla pubblicazione di questi dati sono state senza dubbio cariche di entusiasmo. Come nel caso di Daniele Contini, country manager di Just Eat in Italia. Il dirigente ha sottolineato la crescita del settore in un anno difficile: “È stata registrata una crescita del 30% dei ristoranti che hanno scelto Just Eat come partner per gli ordini a domicilio con richieste 5/6 volte superiori durante il lockdown. Ciò testimonia come il digital food delivery rappresenti un ottimo partner in termini di business per loro. Ma anche una tendenza consolidatasi a causa dell’emergenza sanitaria ma che rappresenta un trend continuativo come leva per competere, crescere e raggiungere nuovi clienti“.
In alcune città si è assistito a un vero e proprio boom nel food delivery. In particolare nelle città medio-piccole come Rimini, che rispetto al 2019 ha registrato un incremento del 139% di ricorso a questo fenomeno. A seguire troviamo Cagliari e Reggio Emilia, con un incremento rispettivamente del 120% e del 119% rispetto a un anno fa.
Anche la spesa si fa a domicilio
Ma non c’è solo la consegna di cibo da asporto a far incrementare questa pratica. Anche ricevere la spesa a domicilio si è rivelato necessario, in tempi in cui non tutti potevano uscire durante il lockdown primaverile. C’è chi ha usufruito di questa possibilità per una questione di comodità e praticità. E c’è chi invece non ha potuto fare a meno di richiedere una mano alle tante piattaforme che operano nel settore. Come nel caso di Glovo, che ha fatto registrare una serie di incrementi nel 2020. Parliamo dell’80% di consegna di cibo a domicilio, ma soprattutto del 400% di acquisti di generi di prima necessità.
A parlarne è stata Elisa Pagliarani, general manager di Glovo Italia. La dirigente ha snocciolato alcuni dati che fanno notare l’esplosione di un vero e proprio fenomeno su scala nazionale. “L’emergenza che abbiamo affrontato in questi mesi ha accelerato un processo che era già in atto: i trend di penetrazione del nostro servizio, che erano già molto positivi, sono ulteriormente aumentati. Abbiamo registrato un aumento esponenziale della richiesta dei prodotti per la spesa, ma anche delle spedizioni espresse da casa a casa (+330%), così come è cresciuta la consegna di prodotti farmaceutici (+320%)“.
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I problemi del food delivery
Ma non mancano gli aspetti critici, sottolineati dall’urbanista Paolo Pileri. Il primo riguarda il rischio che la gente si “accontenti” di restare in casa e ricevere tutto a domicilio. “Abitare è un concetto più ampio della propria casa. Bisogna riportare le persone a stare fuori, a passeggiare, andare in bici, visitare i musei“, ha dichiarato. E poi c’è il consumo del suolo, causato anche dal sorgere di nuove piattaforme per il food delivery: “La delivery economy, con la sua logistica, ha fatto sorgere grandi hub che servono le città. Una valanga di piattaforme che hanno distrutto l’agricoltura – sostiene Pileri – , invaso di tir le stradine, impoverito la forza lavoro, a cui si chiede ormai solo di impacchettare“.
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E poi c’è l’aspetto ambientale. Si accumulano infinite quantità di pacchetti e altre confezioni per il cibo a domicilio. Ne ha parlato Piero Pelizzaro, chief resilience officer del Comune di Milano: “È cambiata la tipologia di rifiuti – sostiene – . Si raccolgono molto più packaging, vaschette di plastica, imballaggi, cartoni. Aumenta il traffico veicolare. C’è bisogno di punti di rilascio e ritiro dei prodotti“. Pelizzaro ha parlato di un altro problema, l’accessibilità online: “Presuppongono che tutti usino internet. Ma per i servizi digitali, tutti dobbiamo avere lo stesso livello di accesso. Potrebbe cambiare qualcosa con il Recovery Plan“.