Covid, Vaticano su vaccini prodotti da feti morti: sono “moralmente accettabili”. Dissipati i dubbi morali
Secondo la Congregazione per la Dottrina della Fede:”é moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti-Covid che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti nel loro processo di ricerca e produzione“. Nel caso dell’emergenza pandemica che stiamo vivendo, si legge in una nota approvata dal Papa lo scorso 17 dicembre, “si possano usare tutte le vaccinazioni riconosciute come clinicamente sicure ed efficaci“.
La Congregazione precisa che “il ricorso a tali vaccini non significhi una cooperazione formale all’aborto dal quale derivano le cellule con cui i vaccini sono stati prodotti“. Via dunque i dubbi morali, in questo tempo di pandemia, sulle vaccinazioni prodotte usando cellule che provengono da due feti abortiti negli anni Sessanta.
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Nello specifico, la Congregazione spiega che, quando per diverse ragioni non vi sono vaccini contro il Covid-19 “eticamente ineccepibili“, è “moralmente accettabile” vaccinarsi con quelli creati da feti abortiti. Questo è possibile perché la cooperazione al male dell’aborto, per chi si vaccina, è “remota” e il dovere morale di evitarla “non è vincolante” se ci si trova di fronte a “un grave pericolo, come la diffusione di un agente patogeno grave“.
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La Congregazione chiede anche alle aziende farmaceutiche di “produrre, approvare, distribuire e offrire vaccini eticamente accettabili che non creino problemi di coscienza“. Nella nota, infine, si legge che “chi non vuole vaccinarsi, si renda innocuo“. Ciò vuol dire che chi per ragioni di coscienza rifiuta i vaccini creati con linee cellulari provenienti da feti abortiti, deve tuttavia “adoperarsi per evitare, con altri mezzi profilattici e comportamenti idonei, di divenire veicoli di trasmissione dell’agente infettivo“.
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In tal modo si evita “ogni rischio per la salute” dei più fragili. L’ex Sant’Uffizio chiosa definendo “un imperativo morale” assicurare che “vaccini efficaci, nonché eticamente accettabili“, possano essere accessibili “anche ai Paesi più poveri e in modo non oneroso per loro“, perché altrimenti ciò “diverrebbe un altro motivo di discriminazione e di ingiustizia“.