Covid: che fine ha fatto l’influenza? Ecco perché i casi calano

Le misure di precauzione prese per arginare il virus hanno limitato anche la diffusione dell’influenza stagionale. Aumentano le vaccinazioni

influenza covid

Che fine ha fatto l’influenza? E’ la domanda che in tanti si stanno ponendo, anche a seguito delle previsioni post prima ondata di Coronavirus, che facevano pensare a una possibile “fusione” del virus con quello dell’influenza nel corso della seconda. Motivo per cui alcune regioni si sono mosse con largo anticipo per acquistare massicce dosi di vaccino antinfluenzale.

Viaggi e vaccini

Stando ai dati di uno studio dei Centers for Disease Control and Prevention, in Australia, Cile e Sud Africa su 83mila test effettuati si sono registrati solo 51 casi di influenza. Una cifra molto bassa che, secondo gli scienziati, potrebbe essere collegata alle precauzioni e alle misure di contenimento adottate per contenere la diffusione della pandemia di Sars-Cov-2. Ma non solo.

Secondo quanto dichiarato alla rivista Nature dal virologo Richard Webby del St. Jude Children’s Research Hospital di Memphis, il virus influenzale è rimasto sottotraccia anche laddove la pandemia non è stata affatto controllata, come in alcuni Paesi del Sud America. Secondo l’esperto ad avere un ruolo fondamentale è stata la scarsa mobilità tra i continenti, oltre al distanziamento, all’uso delle mascherine e – soprattutto – la campagna di vaccinazione.

Situazione del tutto analoga anche in Italia. In base ai dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità, al 16 dicembre sono stati registrati 1,9 casi di sindromi simil-influenzali ogni mille assistiti. Nella scorsa stagione lo stesso valore era pari a 3,5 casi su mille assistiti.

Arma a doppio taglio?

Da un lato la limitata circolazione del virus influenzale è un fattore positivo, alleggerendo il carico sugli ospedali, già drammaticamente oberati a causa del Covid-19. Dall’altro, però, potrebbe causare delle difficoltà nella composizione del vaccino antinfluenzale del prossimo anno. Non potendo seguire l’andamento del virus, ad esempio, si rischia di non conoscere quali ceppi inserire nel siero, condizionandone così lo sviluppo.

Sul lungo periodo, invece, secondo il virologo Webby la mancanza di competizione tra virus nell’uomo potrebbe portare allo sviluppo di nuove varianti di influenza suina. Come l’influenza spagnola del 1918-19 (500 milioni di infetti, tra i 50 e i 100 milioni di morti) o la pandemia di “febbre suina” causata dal virus di tipo A H1N1 nel 2009 (1,5 milioni di contagi in Italia in meno di un mese).

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Gli altri virus

Altro grande assente è il RSV (virus respiratorio sinciziale), che causa la bronchiolite. Secondo uno studio delle rivista Clinical Infectious Diseases di settembre, nell’inverno 2020 i casi sono d’infezione sono diminuiti del 98% nell’Australia occidentale. Un fattore positivo, se pensiamo che il 5% delle morti nei bimbi al di sotto dei cinque anni è causato da questo virus. Ma c’è anche un lato negativo: il crescente numero di bambini suscettibili all’infezione potrebbe provocare ondate più gravi più gravi.

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L’unica eccezione è rappresentata dai virus del raffreddore, i Rinovirus, dotati di una struttura più resistente e per questo meno intaccati durante la pandemia. Secondo i ricercatori della Yale School of Medicine di New Haven, in Connecticut, i rinovirus potrebbero aver ostacolato la diffusione dell’influenzale H1N1 nel 2009. E forse potrebbero farlo ancora con il nuovo Coronavirus.

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