Il fondatore di Emergency, Gino Strada, in un’intervista ha ricordato che la sanità pubblica è un compito essenziale per lo Stato.
“La sanità pubblica è un compito essenziale dello Stato”. Lo ha scritto Gino Strada, fondatore dell’associazione umanitaria Emergency, in un’intervento scritto sul quotidiano La Stampa. Nel testo, Strada ha sottolineato l’importanza di vivere in un Paese che garantisce a ogni cittadino il diritto a essere curato. Cosa che, ha aggiunto, al momento non avviene in modo completo ed efficiente. “La pandemia – ha infatti specificato il filantropo – ha messo in evidenza l’estrema fragilità del nostro sistema sanitario“.
Secondo Strada “l’ambiente, il sistema economico, la sanità dovrebbero essere argomento di dibattito quotidiano”, anche perché “è ormai evidente che la pandemia ha disvelato le gravi fratture in cui abbiamo vissuto negli ultimi anni, ignorandole”. Quel che è certo, è che la situazione attuale è stata causata i “tagli sconsiderati” fatti sulla sanità pubblica per dare “soldi ai privati”. E così, “siamo stati travolti, come la quasi totalità degli altri Paesi, da un’emergenza incontestabile”.
L’emergenza sanitaria scatenata dalla pandemia di coronavirus sicuramente ha peggiorato e intensificato il problema. “Molte delle nostre difficoltà si devono a questo” ma, ha continuato l’attivista, “non possiamo ignorare che si tratta perlopiù di problemi strutturali, non emergenziali“. Strada è poi passato all’illustrazione dei tagli veri e propri:“Nel decennio 2010-2019, tra tagli e definanziamenti al Sistema sanitario nazionale, sono mancati circa 37 miliardi, con un investimento che non recupera neanche l’inflazione. Oggi – ha aggiunto – spendiamo in sanità circa 120 miliardi ogni anno, l’8,7 per cento del Pil rispetto alla media europea del 9,9 per cento”.
Se da una parte gli ospedali pubblici hanno perso quasi 40 miliardi in dieci anni, dall’altra le strutture private – gestite a livello regionale – hanno fatto i propri interessi. Solo di fronte a una pandemia globale sono crollati gli altarini e la privatizzazione degli ospedali si è rivelata per il flop che è (ad esempio in Lombardia tra marzo e aprile). “Gli ospedali sono stati trasformati in aziende e i mantra degli ultimi anni sono stati il ‘contenimento della spesa ed efficientamento dell’esistente’, i piani di rientro e il pareggio di bilancio”, ha spiegato Strada.
E ha sottolineato anche la somma che ogni anno viene stanziata sulle convenzioni con le strutture private, piuttosto che impegnata nel settore pubblico: “Ogni anno se ne vanno in convenzioni con ospedali e varie strutture private circa 25 miliardi, pari al 20,3 per cento della spesa sanitaria complessiva. Recuperare al pubblico quel fiume di denaro significherebbe avere a disposizione, all’incirca, un Mes ogni anno da investire nella sanità per rinforzare il nostro Sistema sanitario nazionale. Essere curati è un diritto universale e un bene comune, ed è conveniente per la società che venga tutelato nell’interesse di tutti. Invece, pur con differenze regionali, una quota sempre maggiore del budget sanitario va in convenzioni e accordi con il privato innescando una spirale pericolosa”.
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Ma “di quale sanità hanno bisogno i cittadini? La risposta è semplice: una sanità pubblica, unica e non regionale, gratuita e di alta qualità“. Per realizzare un simile progetto, bisognerà spendere quanto serve, “non un euro in più, non un euro in meno”. Anche perché, come ha raccontato il filantropo, “le risorse ci sarebbero, e in abbondanza: basterebbe eliminare i fondi destinati al privato dal budget della sanità pubblica“.
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Strada ha concluso il suo intervento con una riflessione sui fondi del Recovery Plan riservati alla Sanità pubblica, ovviamente troppo pochi, soprattutto rispetto alle difficoltà che l’Italia ha vissuto sia durante la prima che durante la seconda ondata. “Solo 9 miliardi dei 209 del Recovery Fund verranno usati per investimenti nel settore sanitario. Poco più del 4 per cento per un settore fondamentale per la vita di tutti noi. Se neanche una pandemia epocale – con quasi 70 mila morti in Italia – riesce a farci riorganizzare le nostre priorità, stiamo perdendo l’ultima occasione per riformare le basi della società in cui vogliamo vivere“.
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