Fratelli muoiono di Covid a 46 ore di distanza, il figlio non se lo perdona:”Colpa mia”. L’uomo, un operaio, non riesce a darsi pace
Suo padre Giuseppe e suo zio Antonio sono morti a poche ore di distanza e lui, il figlio di Giuseppe, Valerio De Barba, non riesce a perdonarselo. “Ho un grande senso di colpa: il virus è entrato in casa con me, che uscivo solo per lavorare“, dice totalmente affranto. “Perché hanno pagato due persone che non c’entrano? Il destino si è accanito su di loro e questo non me lo perdono“, si domanda.
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Antonio De Barba, zio di Valerio, aveva 86 anni ed era cardiopatico. Si è spento tra il 14 e 15 dicembre, mentre il padre Giuseppe, 83 anni, non aveva patologie pregresse ed è morto il 16 dicembre scorso all’ospedale San Martino di Belluno, dove era ricoverato ed è morto anche il fratello. Valerio è un operaio e ha sempre continuato a lavorare, anche durante i periodi di isolamento. “Sono obbligato ad andare a lavorare, mi serve per vivere. Ma io ho sempre fatto una vita “da prete” praticamente non mi muovo mai di casa, se non per andare in fabbrica. E andando per esclusione ritengo che il contagio presumibilmente possa essere avvenuto lì: forse nei bagni dove gli spazi sono piccoli”. Domenica 21 novembre va a lavoro ed è l’ultimo giorno. “Lunedì e martedì stavo benissimo, poi giovedì ho iniziato ad avere 37 e mezzo di febbre“.
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L’uomo vive nella casa di famiglia in via dell’Anta. Con lui sua madre, il padre e lo zio. “Mio papà era in una stanza per conto suoi, mio zio in un’altra stanza separata, quindi non penso ci siano stati grandi contatti tra noi. E appena ho avuto la febbre mi sono subito isolato per sicurezza. Venerdì 27 novembre ho fatto il tampone molecolare”. Giovedì 3 dicembre scopre di essere positivo. “Il giorno dopo, anche mio papà Giuseppe ha febbre e sabato quando gli ho misurato la saturazione del sangue segnava 88. Mi diceva “io respiro bene”, ma era bassissimo e ho pensato persino a un malfunzionamento dell’apparecchio. Mio zio intanto ha iniziato ad avere sintomi intestinali, come mia mamma”.
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All’improvviso la situazione degenera. “Domenica 6 dicembre le cose sono precipitate”, prosegue Valerio in lacrime, “Mio papà, un uomo che spaccava la legna ed era ancora forte cade a terra. Mio zio si accascia sul letto. Abbiamo chiamato il 118 ed è arrivata l’ambulanza che li ha portati al San Martino. Ringrazio i medici dell’ospedale, sia in Pneumologia e Terapia intensiva che me li hanno fatti vedere con videochiamate. Mio zio era il più grave, viste le patologie. Mio padre era stabile anche se aveva bisogno di 4 litri di ossigeno. Purtroppo poi le cose sono precipitate per entrambi e sono morti uno dopo l’altro”.
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Intanto a Belluno, Valerio e sua madre Antonia sono profondamente sofferenti. Per di più lui è ancora positivo al Covid e la madre negativa. “Piange tutto il giorno. Il mio senso di colpa è di non essere riuscito a tenere il virus al di fuori di questa benedetta casa. Prima del contagio avevo anche pensato di portarli in montagna e prendere una casa per loro e proteggerli. Riflettendo poi ci siamo detti che la prima ondata di marzo l’avevamo affrontata bene. Invece questa… Ho dovuto organizzare il funerale per due persone che fino a due settimane fa stavano bene. Non c’è cura per la polmonite bilaterale da Covid e se non era per la morfina avrebbero sofferto tantissimo. Non si può perdere una generazione così: mio padre, dopo aver fatto l’alpino, aveva lavorato una vita in Germania e Svizzera come tracciatore edile. Con tanti sacrifici si era comprato questa casa e ora se ne è andato in questo modo disumano”, chiosa.
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