Allarme alcolismo, un milione di ragazzi a rischio: “Colpa del lockdown”

Sono dieci milioni le persone dipendenti dall’alcol. I consumi aumentati del 200%. L’analisi del fenomeno: “Il 20% dei pazienti ha avuto una ricaduta”

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Un milione di ragazzi a rischio alcolismo. E’ l’inquietante messaggio d’allarme lanciato dalla Società Italiana di Alcologia e ripreso dal quotidiano La Repubblica raccontando le storie di tre casi di dipendenza tra Monza, Parma e Genova.

Le tre storie

La prima storia è quella di Alberto, grafico pubblicitario di 54 anni in smart working dalla scorsa primavera, che è passato dal bere acqua e andare tutti i giorni in palestra a bere vino rosso e amari ad ogni pasto. Nonostante le sue rassicurazioni (“E’ tutto sotto controllo”), la moglie ha chiesto aiuto perché dice che Alberto diventa nervoso e aggressivo coi figli.

Poi quella di Giulia e Maurizio, coppia 40enne, che partendo da un aperitivo in salotto – gin tonic e patatine – sono passati a comprare quasi esclusivamente alcol al supermercato.

Infine il caso di Luca, elettricista genovese di 31 anni: in cura per la dipendenza di alcol e droga, da quattro anni non ha più commesso alcun passo falso. Ad aprile, durante la quarantena, la madre lo ha trovato svenuto sulla terrazza del palazzo dove vivono con due bottiglie di liquore vuote.

Consumi su del 200%

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, dall’inizio della pandemia il consumo in Italia è aumentato dal 180 al 200%. Già nel 2019, comunque, gli italiani che facevano uso di alcol rappresentavano il 66,8% della popolazione, circa 36 milioni. Ad aumentare sono le persone “a rischio”, che da 8,7 milioni (di cui 2,5 milioni di donne) passano a oltre 10 milioni.

La Società Italiana di Alcologia ha calcolato un aumento del 15% nelle dipendenze da alcol, nella metà dei casi con manifestazioni psico-patologiche; mentre il 20% dei pazienti che ne erano usciti hanno avuto una ricaduta. In aumento anche i minorenni che bevono: passano dagli 800mila del 2019 ad oltre un milione.

“Fermiamoci, prima che sia troppo tardi”, dichiara a La Repubblica Gianni Testino, professore e presidente della Società Italiana di Alcologia. “E se l’individuo si sente un po’ confuso, in difficoltà, triste, alieno dai suoi soliti schemi – usiamo pure la parola depresso: ma non abusiamone – può provare a rifugiarsi nel bere. Sto parlando di persone che prima erano ‘a basso rischio’: che bevevano cioè non più di un bicchiere al giorno. Un bicchiere che oggi li anestetizza rispetto al malessere che sentono. Addirittura, restituisce loro euforia. E allora, meglio berne due. Col passare del tempo, la mente continua a chiedere di aumentare la dose. Da un aperitivo o due, si arriva in fretta alla dipendenza”.

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Il concetto di “rischio”

L’analisi del quotidiano passa poi per la definizione del concetto di “rischio” di dipendenza da alcol. Il limite ufficiale – secondo dati scientifici – sono due “unità alcoliche” al giorno per le donne, tre per gli uomini. Un’unità alcolica corrisponde a circa 12 grammi di etanolo, ossia quella contenuta in un piccolo bicchiere (125 ml) di vino di media gradazione (12°), o in una lattina di birra (330 ml) da 4,5°. O ancora, in una dose da bar (40 ml) di superalcolico. “E dunque, la donna a rischio è quella che in una giornata intera beve l’equivalente di due bicchieri di vino, o due lattine di birra, o due cocktail. Per gli uomini, la dose sale di una bevanda”.

Valutazioni da rivedere al ribasso secondo Testino: “Perché in realtà anche una sola unità alcolica fa male: può aumentare il rischio di diverse malattie. Ma cerchiamo di essere tolleranti, non c’è nessuna caccia alle streghe. Però la situazione adesso si sta facendo molto grave. E ipocrita. Si invita al consumo responsabile, e al tempo stesso la pubblicità ci bombarda di inviti a bere, a ordinare buste di cocktail da consumare in casa. I produttori di alcol sostengono di aver ridotto le vendite, ma l’Istituto Superiore della sanità non mente: quel +200% è impressionante. Ci sono manager, operai, impiegati, casalinghe, pensionati, insegnanti, giornalisti. L’alcol è uno psicofarmaco molto democratico, alla portata di tutti”.

Le critiche a Zangrillo

Testino critica inoltre una recente uscita di Alberto Zangrillo del San Raffaele di Milano, “secondo cui un buon bicchiere di vino è quel piccolo premio che sta nella socializzazione e nella condivisione: ciò che ci manca in questa fase delle nostre vite. Zangrillo lo ha detto parlando di ragazzi e movida. Sono parole molto gravi, perché è provato che la dipendenza aumenta in maniera esponenziale rispetto alla giovane età. Il consumo di alcol prima dei 20 anni nel 35-40% dei casi può poi portare a una dipendenza. Invece, se si comincia dopo i 25, la percentuale scende al 10%”.

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Bere solo per ubriacarsi

I numeri sui giovani sono davvero preoccupanti secondo l’esperto, citando l’esempio del “binge drinking”. Un termine inglese per indicare il fenomeno del bere all’unico scopo di ubriacarsi: riguarda il 22,6% dei maschi (11,1% delle femmine) tra i 18 e i 24 anni, percentuale che resta comunque alta (18,8%) nella fascia 25-44. In totale, “il 48,3% dei maschi (e il 40,7% delle femmine) tra i 16-17 anni è a rischio”.

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La cura migliore è sempre parlarne: ammettere, confrontarsi con chi ha vissuto o vive la stessa – drammatica – esperienza. Farsi aiutare dalle altre persone, non dai farmaci. I gruppi di ascolto: è quella, la medicina migliore”, conclude Testino.

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