Quell’anticorpo monoclonale prodotto in Italia e non usato: poteva curare gratis 10mila pazienti
Sarebbero potuti essere 10.000 gli italiani a guarire subito, invece di attendere un vaccino. Il nostro Paese va verso la terza ondata di Covid e non ha cure a base di anticorpi monoclonali, in grado di eliminare in tre giorni il virus evitando il ricovero. Secondo quanto riporta Il Fatto Quotidiano, da uno stabilimento di Latina sono prodotti questi farmaci, ma con destinazione Usa, quindi volti a salvare malati americani, non italiani. Eppure ai nostri erano stati offerti gratis circa due mesi fa. “Abbiamo ‘pallottole’ specifiche contro il virus. Possono salvare migliaia di pazienti, evitare ricoveri e contagi, ma decidiamo di non spararle. Non si spiega“, afferma Massimo Clementi, virologo del San Raffaele di Milano.
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Il virologo racconta che i colleghi americani somministrano da diversi giorni i suddetti anticorpi come cura e profilassi per i pazienti affetti da Covid. Stessa terapia che, tra l’altro, ha salvato Donald Trump:”Dopo 2-3 giorni guariscono senza effetti collaterali apparenti”. E questo al costo di 1000 euro circa per un trattamento completo, rispetto agli 850 euro spesi per un ricovero giornaliero. Gli Usa ne hanno comprate 950mila dosi, e così Canada e Germania. Ma non il nostro Paese, dove sono prodotti. L’Italia avrebbe investito su un anticorpo prodotto sempre qui e anche promettente ma la cui disponibilità potrebbe esserci solo tra 4 o 6 mesi. Sono in molti gli scienziati a domandarsi perché, nel frattempo, non si usino medicinali i cui effetti già sembrano essere efficaci altrove.
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Eppure, secondo quanto riporta Il Fatto, già da ottobre (si è saputo solo adesso) al nostro Paese sarebbe stata data l’opportunità di usare tali anticorpi tramite “trial clinico”, con 10mila dosi del farmaco che sarebbero state proposte gratuitamente. Eppure, il nostro Paese avrebbe misteriosamente rifiutato tale proposta, pur vivendo la seconda ondata.
Il farmaco denominato bamlanivimab o Cov555 è stato creato dalla multinazionale statunitense Eli Lilly e a dimostrarne l’efficacia c’è uno studio di Fase2 randomizzato (la fase 3 è in corso) che si sta portando avanti negli Stati Uniti. I risultati della ricerca sono finiti sul noto New England Journal of Medicine. Da Sesto Fiorentino hanno sostenuto che l’anticorpo è stato prodotto prima del termine della sperimentazione in modo da essere disponibile al più presto a livello globale.
Gli Usa hanno comprato a partire dal 9 novembre, quando l’Fda ha concesso autorizzazione del farmaco per uso di emergenza, 950mila dosi. Nel nostro continente si attende l’ok dell’Ema che non autorizza farmaci in corso di sviluppo. C’è però una norma europea del 2001 che permette ai singoli Paesi Ue di acquistare e la Germania lo ha fatto, completando proprio ieri il processo di autorizzazione e stessa cosa sta per fare l’Ungheria. Quel che ci si chiede è: come mai l’Italia no? E dire che secondo quanto riporta il Fatto, dato che l’azienda americana ha sede anche nei pressi di Firenze, una volta terminato lo studio aveva contattato autorità sanitarie e politiche anche nel nostro Paese. Lo scorso 29 ottobre, c’era stato un tavolo con l’Aifa cui avevano preso parte Gianni Rezza del Ministero della Salute, Giuseppe Ippolito del Cts e direttore Spallanzani Roma e il professor Guido Silvestri, virologo alla Emory University di Atlanta. In questo contesto, sarebbe stato offerto al nostro Paese di avviare la sperimentazione con circa 10mila dosi gratis del farmaco che negli Stati Uniti ha mostrato di essere in grado di ridurre il rischio ricoveri dal 72 al 90%. Tra l’altro, nella riunione si precisava che non si sarebbe trattato di un favore alla multinazionale, poiché una volta che l’FDA avesse concesso l’autorizzazione, sarebbero arrivate richieste anche da altri Paesi.
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L’opportunità non viene colta e cade nel nulla, probabilmente per rispettare le regole di Aifa ed Ema, cosa che però non ha bloccato la Germania. Un’altra ipotesi potrebbe essere che l’offerta sia stata lasciata perdere per aver preso un’altra decisione a priori. Il Governo avrebbe investito 380 milioni per un progetto interamente italiano legato alla fondazione Toscana Life Sciences (TLS) di Siena, in partnership con lo Spallanzani. Ma tale sperimentazione non è ancora iniziata e la produzione dovrebbe partire solo nella primavera del 2021. Secondo quanto riporta il Fatto, l’intesa con Eli Lilly, che avrebbe potuto salvare migliaia di persone, non sarebbe riuscita per via di un atteggiamento critico verso gli anticorpi da parte del direttore dello Spallanzani che lavorerà al progetto toscano.
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Ora, quando l’Fda concede l’autorizzazione per il farmaco, la multinazionale non può più offrire trial gratuiti ma vendere il prodotto al prezzo della casa madre. Quel che sembrerebbe assurdo, è che persa l’opportunità di avere i farmaci gratuitamente, l’Italia avrebbe manifestato interesse il 16 novembre scorso, presenti, tra gli altri, il commissario Arcuri e il ministro Speranza. Il negoziato, tuttavia, resta fermo e non prosegue, nemmeno quando il sindaco di Firenze, Dario Nardella, fa sapere ai giornali di aver avuto un colloquio con l’azienda Eli Lilly e che “se c’è l’ok della Commissione Ue, la distribuzione del farmaco a base di anticorpi monoclonali potrebbe cominciare dopo Natale non solo in Francia, Spagna e Regno Unito ma anche in Italia”. Ma Natale è ormai vicino e in Italia non ci sono farmaci anticorpali.
In un colloquio col Fatto, Aifa e la struttura di Arcuri avrebbero ribadito che se non arriva l’autorizzazione da parte dell’Ema la cosa non prosegue. “Io avrei accelerato”, afferma il consulente del ministro Walter Ricciardi, che si trovava all’incontro: “Con tanti morti e ospedalizzati valutare presto tutte le terapie disponibili è un imperativo etico e morale”. Anche il virologo Silvestri si chiede come mai questo blocco: “Non capisco cosa stia bloccando l’introduzione degli anticorpi di Lilly e/o Regeneron, che qui negli States usiamo con risultati molto incoraggianti”.
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Secondo il professor Clementi, “è importante trovare il miglior farmaco possibile, ma non possiamo scartare a priori una possibilità terapeutica che altrove salva le persone. Una fiala costa poco più di un giorno di ricovero e ogni risorsa che risparmi la puoi usare per altro. Tenere nel fodero un’arma che si dimostra decisiva è incomprensibile. Da qui, la mia sollecitazione all’AIFA”.
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