Sempre più vicini al vaccino, sempre più vicini all’esigenza di sconfiggere lo scetticismo nei confronti del vaccino anti-Covid, anche all’interno del personale sanitario. Per questo proprio oggi il consulente del governo Walter Ricciardi avrebbe auspicato di imporre l’obbligatorietà per il personale sanitario. Ma come mai la corsa al vaccino sembra incontrare degli ostacoli di fronte alle resistenze dei cittadini e – a sorpresa – del personale sanitario?
La luce in fondo al tunnel è sempre più vicina, l’Europa attende il via libera da parte dell’Ema per iniziare la distribuzione dei vaccini, lasciando la priorità a chi è più esposto al coronavirus. Tra questi, ovviamente, medici e personale sanitario. E’ soprattutto il governo tedesco, stretto tra contagi e divieti natalizi, a chiedere all’Ema di accelerare i tempi per l’approvazione del vaccino Pfizer-BioNTech, prevista per il 29 dicembre. La richiesta è di approvare il vaccino entro il 23 dicembre. Secondo quanto scrive la Bild, sia l’ufficio della cancelliera Angela Merkel, sia il ministero della salute tedesco starebbero incalzando l’agenzia europea del farmaco: le autorità tedesche sottolineano come questo ritardo rischi di dare l’immagine di una “Europa che non riesce ad agire”. Le vaccinazioni sono già partite, infatti, in Usa, Canada, Messico, Cina, Russia e Inghilterra. Eppure l’Ema ribadisce: nonostante le vaccinazioni Pfizer siano già partite in altri paesi occidentali, l’ente regolatorio europeo sta facendo il possibile, e la sicurezza resta al primo posto. Solo quando l’Ema sarà sicura, arriverà il via libera. Eppure, se da un lato si preme per accelerare, dall’altro c’è chi si ritrae.
Quante persone si vaccinerebbero?
Secondo i dati Ipsos riportati dalla Stampa il 6 dicembre, ancora molti italiani nutrono dubbi nei confronti della vaccinazione. Circa 4 italiani su 10 sarebbero contrari alla vaccinazione. In Francia sarebbero di più i contrari, circa 5 su 10; ma molti meno in Germania (circa 3 su 10) e nel Regno Unito (circa 2 su 10). Secondo un sondaggio Tecnè, invece, sarebbero circa il 42% gli “attendisti”, ovvero coloro che preferiscono attendere le prime vaccinazioni per avere certezze sulla sicurezza del vaccino, prima di vaccinarsi in prima persona. Di fronte a questo quadro, il governo già da qualche settimana aveva ventilato un obbligo di vaccinazione, almeno per le fasce di popolazione più sensibili. Il ministro della Salute Roberto Speranza aveva già dichiarato: “E’ ovvio che per gli operatori sanitari, ma anche per il personale della scuola, ad esempio, la vaccinazione sia fondamentale auspichiamo che ci sia questa consapevolezza”.
Una questione delicata
Crescono sempre più, infatti, i timori del governo proprio a proposito delle frenate provenienti dal personale sanitario. Per questo ministero della Salute e Istituto superiore di sanità stanno delineando un piano di formazione per attuare una adeguata campagna di sensibilizzazione. Il timore nel governo, infatti, è che l’adesione di medici, infermieri e altri dipendenti del sistema sanitario possa rivelarsi un flop. Le conseguenze sarebbero evidenti: non solo sarebbe un primo ostacolo verso l’immunità di gregge, e proprio in settore insospettabile; ma sarebbe anche una importante vulnerabilità in un ambiente che, invece, ha l’esigenza di essere immune al Covid, per ovvie questioni di contagio. Ma perché tutto questo scetticismo?
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Gli errori di comunicazione
Una risposta potrebbe riguardare la carente campagna di informazione che è stata fatta fino a questo momento. Molto probabilmente, quella interna agli ospedali non rappresenta una classica ondata no-vax, restia a qualsiasi forma di vaccino. Forse si tratta, nello specifico, di persistenti timori nei confronti del vaccino Covid. E forse, su questo punto, si poteva fare di meglio. Un settore abituato al linguaggio della scienza si è sentito ripetere per lo più comunicati stampa da parte delle agenzie farmaceutiche: “Siamo pronti, è sicuro ed efficace”. Ma a fronte dei comunicati, pochi dati. Questo problema era già stato sollevato dal virologo Andrea Crisanti, che aveva sottolineato un punto: la scienza non è una questione di fede, ma una questione di dati. Ne parleremo quando saranno resi disponibili. Ora quei dati ci sono, e tra pochissimo potrebbero anche ottenere il via libera dall’Ema. E ora è necessario comunicarli. Ed è necessario essere limpidi su questo. A parlare chiaramente è Marco Cavaleri, Head of Anti-infectives and Vaccines; Scientific and Regulatory Managment Department all’Ema, che in un’intervista al Corriere afferma: secondo la procedura adottata, la Conditional Marketing Authorisation, “noi analizziamo tutti i dati relativi agli studi sui vaccini (in pole position è quello della Pfizer) e diamo priorità a due condizioni: la sicurezza e l’efficacia. Questa autorizzazione è sicura, ma non è definitiva: sarà via via sottoposta a un monitoraggio continuo per vedere come, in pratica, il vaccino funziona”. Ma si tratta di una procedura velocizzata che riguarda la rapidità di utilizzo dei dati, non salti nella procedura. Infatti Cavaleri aveva già rassicurato in data 11 dicembre: “Nonostante la necessità di velocizzare i diversi passaggi, vista la situazione emergenziale, il nostro compito è quello di rassicurare la popolazione europea sulla rigorosità delle valutazioni dei vaccini per Covid-19″.
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La campagna di formazione e informazione
Proprio per questo, stando a quanto riportato da Open in data 8 dicembre, il governo sta mettendo a punto un piano speciale per la formazione a distanza degli operatori sanitari da parte del personale dell’Iss. L’idea è di sensibilizzare e informare medici e infermieri sulle principali caratteristiche del vaccino. Inoltre, il progetto riguarda anche la formazione del personale sanitario a proposito della comunicazione con i pazienti: è importantissimo che le comunicazioni arrivino in maniera coerente ed esatta, senza dare adito a fraintendimenti. Su questo punto, ci sono stati ovviamente degli errori mediatici: parlare di vaccino creato “in fretta”, invece che “velocemente”, veicola un messaggio sbagliato, come sottolineato dal viceministro della Salute Sileri. C’è poi una sfiducia residuale nei confronti del vaccino in genere. Stando a quanto affermato dall’infettivologo Matteo Bassetti (che però non cita la fonte) in un’intervista a Tagadà circa un operatore sanitario su cinque ha ricevuto la vaccinazione antinfluenzale.
L’ipotesi dell’obbligatorietà
A quel punto, qualora l’opera di sensibilizzazione e formazione dovesse risultare un flop, l’ipotesi è di procedere con l’obbligatorietà. A ribadirlo è il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri, che ieri avrebbe affermato: “Se dopo un anno, un anno mezzo, scopriamo che meno del 30 – 40% della popolazione ha fatto il vaccino, una qualche forma di obbligatorietà secondo me diventerà necessaria”, anche perché “non posiamo permetterci il rischio di ritardi e non possiamo permetterci che il SARS-CoV-2 continui a circolare, dato che il virus potrebbe forse anche scomparire, ma potrebbe anche mutare rendendo inefficace il vaccino stesso”. Poi ancora: “Se oggi c’è qualche no-vax secondo cui il vaccino non serve dopo 60 -70 mila morti, e a mio avviso saranno ancora di più fino a quando si arriverà a una protezione di gregge, mi dispiace per lui”.
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A pronunciarsi a proposito di una presunta obbligatorietà per i sanitari, invece, è Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute e docente di Igiene all’Università Cattolica di Roma, che intervenuto ad Agorà su Rai3 commenta: “Se gli operatori sanitari non faranno il vaccino, io sono per una forma di obbligo. Proteggere se stessi per proteggere gli altri. Quest’anno la campagna sulla vaccinazione antinfluenzale sta andando molto bene, l’abbiamo messa in certe regioni come obbligatoria e in alcune regioni abbiamo superato il 70%. Dunque si può, con un mix di promozione” e convincimento, incentivare alla vaccinazione. “Ma se questa non ha effetto, si può inserire una clausola per gli operatori sanitari e per quelli a stretto contatto con il pubblico, e rendere obbligatorio il vaccino”.