L’unica regione a non aver registrato il picco della seconda ondata è il Veneto. Sembra che, grazie ad alcuni indicatori «virtuosi», la Regione governata da Zaia si riuscita a restare sempre in zona gialla.
Nelle ultime 24 ore, il Veneto ha registrato 4.092 casi superando, domenica, i 190mila contagi. Dall’inizio della pandemia, quindi, si contano 190.641 positivi. I morti sono 32 con un totale di 4.801. Notizie positive arrivano dagli ospedali che registrano un calo di ingressi: solo 7 nuovi ricoveri nei reparti non critici. Diminuiscono i ricoverati nelle terapie intensive, con 4 pazienti.
Il Veneto, rispetto alle altre Regioni, da inizio pandemia sta eseguendo un numero maggiore di tamponi al giorno. La stessa Regione ha dichiarato che il contact tracing raggiunge l’85,5% dei casi sospetti rispetto ai 60% della media nazionale e, allo stesso tempo, lancia una critica al governo che non permette di calcolare anche i test rapidi-antigenici. Ma, in relazione al numero di ricoveri e di decessi, la prontezza nel tracciamento non ha grande rilevanza. Già, perché il Veneto ha superato il picco il 29 marzo, quindi durante la prima ondata, con 2.865 pazienti in area non critica e 356 in rianimazione. E’ vero che alcuni indicatori sono migliorati ma la situazione continua a destare preoccupazione. Cosa sta succedendo allora in Veneto? A questo proposito è intervenuto il Coordinamento Veneto per la Sanità Pubblica chiedendo a Roberto Speranza di «rivalutare con urgenza l’attuale classificazione di rischio giallo». Un appello è stato rivolto anche a Zaia per adottare rapidamente delle misure più stringenti.
Il Veneto è stato, sin dall’inizio, considerato zona gialla nonostante numeri così elevati questo perché, nonostante le numerose polemiche, era stata riconosciuta alla Regione la capacità di gestire l’epidemia. Luca Zaia commenta così: «Il non aver dovuto ricorrere a restrizioni importanti, come il divieto di spostamento tra Comuni, probabilmente paga un numero alto di contagi». Antonella Viola, immunologa, aggiunge: «A novembre, in Veneto, c’erano già molti casi. Abbiamo tenuto tutto aperto perché eravamo in zona gialla e la curva dei contagi non è scesa. Non mi sorprende che il virus continui a circolare. Ieri Padova era piena di gente – dice – da una parte ci sono file per entrare nei negozi uno alla volta, dall’altra bar con fuori gruppi di persone che senza mascherina bevono, fumano, chiacchierano e sono tutti appiccicati. Non è più il momento di fare appelli alla popolazione, bisogna fare i controlli e dare le multe». Anche per questo motivo sono state introdotte delle regole più restrittive in attesa che sia il Ministro della Salute a firmare il passaggio ad un’altra fascia.
La Germania, che come il Veneto, è stata tanto elogiata, si ritrova a dover ricorrere a misure forti per contenere il contagio. Il “lockdown light“, infatti, non ha funzionato. Per questo motivo, Angela Merkel è stata costretta a varare un lockdown totale a partire da mercoledì e che durerà 24 giorni. Gli Uffici sanitari sono saturi e le terapie intensive piene e anche il tracciamento inizia ad avere i primi problemi.
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«I Pesi che hanno adottato restrizioni sembra abbiano un abbassamento più precoce della curva epidemica. – afferma Paolo Bonanni, epidemiologo, ordinario di Igiene all’Università di Firenze – Le Regioni in giallo l’hanno pagata in termini delle persone che non hanno rispettato in maniera ferrea le disposizioni comuni. Dopo mesi si vedono ancora giovani e adulti che parlano con la mascherina sotto il mento, uno a 30 cm dall’altro. E’ emblematico».
Forse l’errore è stato proprio questo. Forse il Veneto avrebbe dovuto chiudere prima come ha fatto la stessa Germania. Ovviamente non è così semplice capire quando prendere una decisione del genere, ma alcuni studi hanno dimostrato come nel momento in cui la curva dei contagi torna a salire, diventa fondamentale agire immediatamente e chiudere. La Columbia University di New York ha fatto uno studio sulla prima ondata ed è stato dimostrato che lo stesso intervento, applicato solo 1 o 2 settimane prima, avrebbe evitato il 61.1% delle infezioni a livello nazionale e il 55,0% dei decessi segnalati al 3 maggio nel USA.
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Tra il 13 dicembre e il 20, però, in Italia e in Veneto sembra si registrerà un significativo aumento degli spostamenti e la Professoressa Viola commenta così: «E’ una situazione di massima allerta: c’è bisogno di stringere la maglia o bisogna decidere di fare controlli»
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