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Spettacolo

Amore Criminale, intervista a Matilde D’Errico, autrice e ideatrice: “La violenza sulle donne problema culturale”

Matilde D’Errico, ideatrice, autrice e regista di “Amore Criminale – Storie di femminicidio” ci racconta come il programma di Rai 3, in onda dal 2007, insieme allo spin-off “Sopravvissute”, in onda dal 2018, nasce con “l’intento di denuncia sociale”, svolge un importante servizio pubblico, narra come l’amore può scivolare nel suo contrario e, allo stesso tempo, invia un messaggio di speranza a tutte quelle donne vittime di violenza.

Matilde D’Errico, autrice, ideatrice e regista di “Amore Criminale”

Ad oggi, il tema della violenza sulle donne resta uno dei più caldi nel nostro Paese. Dati Istat raccontano che, nel 2020, è stata uccisa una donna ogni tre giorni per mano dell’uomo che la amava. Un dramma simile non può essere sottovalutato, ma risolto alla radice.

“La violenza sulle donne è un problema culturale. Dobbiamo cambiare mentalità, lavorare insieme, uomini e donne, per diffondere la cultura del rispetto – ha sottolineato la D’Errico – . Dobbiamo fare un’opera di educazione sentimentale con le generazioni più giovani perché solo insegnando che la donna va rispettata, ne usciremo”.

Quanto è difficile realizzare un certo tipo di programma basato su storie vere di violenza contro le donne?

Realizzare un programma su un tema così doloroso richiede una fatica in più rispetto a quella che normalmente si fa per qualunque altro tipo di programma. Il tema è doloroso, significa stare a contatto con la sofferenza delle famiglie delle vittime, con le donne sopravvissute ai maltrattamenti. Indubbiamente è difficile, faticoso, richiede una grande forza e la capacità di entrare in una relazione complicata con queste persone per poterle raccontare al meglio e dare loro voce. L’impegno è emotivamente notevole. Oltre all’impegno professionale, quello emotivo è molto forte: sia mio che della squadra che lavora con me.

Nelle storie raccontate da “Amore Criminale” è sempre assente, oltre che la vittima, anche il carnefice. Perché questa scelta?

“Amore Criminale” nasce con l’intento di denuncia sociale e non come un programma solo di cronaca nera. E, fin dalla prima puntata, ho voluto che questo programma avesse questa mission. Sin dal 2007, ad “Amore Criminale” è associata una grossa campagna di sensibilizzazione sul tema.

Noi siamo nati quando la legge sullo stalking non esisteva, è stata fatta nel 2009, e il nostro programma ha creato un dibattito culturale su questi temi. Mi piace pensare che abbia favorito una sensibilità che ha portato a questa legge.

Dietro questa scelta c’è la decisione di non voler dare voce al carnefice. Altre trasmissioni lo fanno, noi diamo voce, per rispetto del principio del contraddittorio, all’avvocato della difesa. È sufficiente quello.

Nel 2018, la senatrice Puglisi chiese la chiusura del programma che, a suo dire, “rafforzava insani propositi emulativi”. “Amore Criminale”, però, prosegue ancora oggi e in prima serata. Dal mondo politico quale atteggiamento c’è stato dopo quell’episodio?

Lavoro per un’azienda come la Rai seria e rigorosa. Non siamo in un regime di censura, ma siamo in un Paese democratico e la Rai, che sa che “Amore Criminale” è un programma di servizio pubblico, non lo ha chiuso.

La ex senatrice Puglisi, presidente all’epoca della Commissione del femminicidio, è libera di esprimere il parere che vuole. Io le ho risposto producendo tutte le mail che noi riceviamo dopo le messe in onda: sono 100, 150 richieste di aiuto ogni settimana e queste donne, le mettiamo in contatto con i centri anti-violenza della loro città.

Questo, forse, la senatrice Puglisi non lo sapeva e spero lo abbia appreso capendo il vero servizio di “Amore Criminale”. Il “criterio emulativo” mi fa sorridere perché mi fa pensare che non si conoscano le dinamiche del femminicidio e mi fa specie pensare che, una donna che è stata presidente della Commissione sul femminicidio, non lo conosca.

Quando un uomo uccide una donna, non lo fa per imitazione, non per criterio emulativo, ma per altre ragioni che sono quelle di chi si sente onnipotente, crede di avere diritto di vita o di morte sull’altra perché vive il rapporto con la compagna in termini di possesso.

“Amore Criminale” e “Sopravvissute” trattano uno degli argomenti più caldi degli ultimi anni: la violenza sulle donne. In Italia un dramma che si perpetua quotidianamente e contro il quale sembra non ci sia rimedio. Perché?

“Sopravvissute” è uno spin-off di “Amore Criminale” che ho creato tre anni fa perché volevo dare voce alla speranza. Mentre con “Amore Criminale” insistiamo molto sulla denuncia, con “Sopravvissute” volevo dare voce a tutte quelle donne che sono riuscite a sottrarsi a dinamiche tossiche, violente. E la loro testimonianza è potentissima perché fa da specchio alle altre donne.

Dopo “Sopravvissute”, noi riceviamo in redazione molte mail di donne che ci dicono che si sono riconosciute in alcune donne. In “Sopravvissute” trattiamo molto il tema della violenza psicologica perché le donne vittima di violenza psicologica, a volte, neanche lo sanno che quella che subiscono è violenza psicologica e abuso psicologico. “Sopravvissute” completa la narrazione di “Amore criminale”.

Perché queste storie continuano a perpetrarsi? La storia della violenza sulle donne è un problema culturale, di mentalità. Viviamo in un Paese in cui sono tante le leggi sulle violenza sulle donne e, secondo me, sono anche sufficienti. Semmai c’è un problema di protezione delle donne che hanno denunciato.

Dobbiamo cambiare la nostra mentalità, dobbiamo lavorare tutti insieme, uomini e donne, per diffondere la cultura del rispetto. Dobbiamo fare un’opera di educazione sentimentale con le generazioni più giovani: solo insegnando ad alunni e figli che la donna va rispettata, che un no è un no, e solo insegnando anche alle bambine che devono capire che nei rapporti di coppia la sottomissione non è amore, ne usciremo.

Tra le storie di violenza contro le donne trattate da “Amore Criminale” e Sopravvissute, ce n’è una che ha fatto fatica a raccontare?

Tutte le storie che racconto in “Amore Criminale” e “Sopravvissute” sono storie che mi coinvolgono, non si può rimanere distaccati in questo tipo di storie perché si entra in relazione con le famiglie delle vittime, con le sopravvissute, e io stessa ho imparato tante cose.

È stato un viaggio umano importante, l’ho anche scritto in un libro che, per me, è stato liberatorio perché ho raccontato il dietro le quinte, tutto quello che mi è accaduto e normalmente non entra nella trasmissione.

Un po’ tutte le donne vittime e sopravvissute le porto nel cuore, ma se devo trovare qualche storia che più di altre mi ha colpita, cito sempre quella di una ragazza di 19 anni che ho raccontato nel 2007: si chiamava Adriana, viveva a Sora, in provincia di Frosinone, ed è stata uccisa dal fidanzato in una notte, in campagna, sotto un albero di melo. E quel corpo è rimasto lì, tutta la notte, abbandonato. Ricordo che ho visto le foto della scientifica e questa immagine del corpo di Adriana distesa sotto l’albero mi ha tormentata per molto tempo.

Tra le storie di “Sopravvissute” moltissime sono cenni di speranza. Tutte le volte che una donna dice: ‘Ce l’ho fatta, sono riuscita ad uscire da una dinamica di violenza’, dà speranza alle altre.

 

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