L’infelice battuta è sfuggita a Serena Sorrentino, Segretaria Generale Funzione Pubblica Cgil, durante la trasmissione Piazza Pulita.
Che in Italia sia purtroppo in corso una assurda “guerra tra poveri” ormai appare evidente: da una parte i lavoratori pubblici – o almeno alcuni di essi – e dall’altra gli autonomi. Una guerra che nasce dalla crisi innescata dalla pandemia, che ha oggettivamente creato condizioni molto differenti tra chi può contare sulla sicurezza del lavoro pubblico (sempre retribuito e spesso in smart working) e chi invece sta più o meno lentamente sprofondando nelle sabbie mobili dell’incertezza di un futuro sempre più oscuro e drammatico. Parliamo delle partite Iva, del lavoratori autonomi, di chi ha una attività: tutti coloro, insomma, che l’unica certezza che hanno avuto a disposizone è arrivata dagli aiuti dello Stato (spesso scarsi e fuori tempo) e dalla speranza in un futuro ipoteticamente migliore. Un conflitto che è stato alimentato anche da alcune dichiarazioni della politica, e che potrebbe confondere sulle responsabilità della crisi in cui sta sprofondando il paese: che ovviamente sono del governo. Bisogna gestirla con attenzione, questa fase, insieme alle tensioni sociali che la caratterizzano. Se il dipendente pubblico è oggettivamente più tutelato del lavoratore autonomo non è naturalmente colpa sua: ma non prendere atto della situazione non è una operazione accettabile, sopratutto da parte dei sindacati. Il riferimento è ad una frase, forse sfuggita o forse consapevolmente espressa da Serena Sorrentino, Segretaria Generale FP-CGIL, nel corso della trasmissione Piazza Pulita su La7.
“Il dipendente pubblico non viene pagato dal cittadino”: questa l’affermazione della Sorrentino, in risposta ad una riflessione del giornalista Sebastiano Barisoni. Il tema era la gestione degli uffici pubblici, lo smart working della Pubblica Amministrazione, lo sciopero del Pubblico Impiego che si è tenuto il 9 dicembre e che è stato indetto proprio dai sindacati confederali. Il ragionamento si stava sviluppando da lì, dallo sciopero: che senso ha che una categoria lavorativa oggettivamente meno in sofferenza – ovviamente in relazione alla fase storica – scioperi? Che tipo di reazione suscita una decisione del genere in una fetta molto ampia di popolazione italiana che vive una crisi di dimensioni inimmaginabili?
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Chiariamo un aspetto: nella percezione collettiva il “lavoratore pubblico” è quello delle amministrazioni, dell’Inps, degli uffici regionali e comunali, dei ministeri. Basterebbe pensare al fatto che anche medici ed infermieri (di sanità pubblica, ovviamente) sono dipendenti pubblici: e non si può dire che non abbiamo dato tutto quel che potevano in questi mesi. Ma il pensiero di chi ha percepito come quasi offensivo uno sciopero in questa fase va a chi è da mesi in smart working, e percepisce senza problemi ogni mese il proprio stipendio. “Dov’è che si giustifica che nel pubblico viene lasciata una persona da sola ed il 95% è in smart working?” è stata la domanda di Barisoni, che ha aggiunto: “Il governo non ha mai chiesto questa cosa, nel privato non funziona così. Non si può fare la cassa integrazione? Allora penalizzazione del 15% sul salario per i dirigenti che organizzano gli uffici in quel modo, e penalizzazione del 10% per i lavoratori. Non sarà colpa loro, ma io come cittadino non posso pagare uno che sta a casa a girasi i pollici e se ho bisogno del catasto, dell’anagrafe devo pure fare la fila fuori”. Una riflessione che appartiene a milioni di italiani: perchè è quello che avviene, senza per forza farne una colpa a nessuno.
Ed è a questo punto, nel corso della trasmissione, che è arrivata l’incredibile affermazione della sindacalista: “Il dipendente pubblico non viene pagato dal cittadino”. Secondo questa tesi, i dipendenti pubblici vengono pagati dalla fiscalità generale, i soldi delle tasse, che servono per pagare varie spese. Tra cui quella. Mentre un attonito Barisoni domandava ragione di una dichiarazione così assurda, il conduttore Corrado Formigli provava a riportare il dibattito sul tema, chiedendo di “non girare intorno alla questione”. Perchè di questo si tratta: di una – perdonate il termine – supercazzola. Ricordate i film della serie “Amici Miei?”. Ecco. Perchè sostenere che il dipendente pubblico è pagato dai soldi del fisco e quindi non direttamente dal cittadino sembra proprio uno dei giocherelli semantici dei protagonisti di quegli storici film. Ma come si fa a sostenere una tesi del genere? Chi è che paga le tasse? Il cittadino.
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Che ha dunque una qualche forma di diritto a pretendere che i suoi danari vengano investiti bene: anche nella gestione del lavoro pubblico durante una pandemia. Ripetiamo, e su questo siamo chiari: nessuna colpevolizzazione a chi lavora nel pubblico. Anzi: una grande porzione di questi lavoratori hanno dovuto lavorare di più, rischiando anche la salute e quindi la vita. E non solo medici ed infermieri. Ma creare confusione ad arte per evitare di entrare nel merito dei temi no, non è accettabile. Senza essere d’accordo con il giurista Pietro Ichino, che definisce lo smart working per i lavoratori pubblici “una lunga vacanza retribuita al cento per cento”, non si può prendere atto del fatto che le cose siano andate molto diversamente – in questi mesi – per alcuni italiani rispetto ad altri. E questo è un argomento di dibattito pubblico: va gestito, ripetiamo, con molta attenzione.
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