Il nodo sul Recovery Fund continua a minacciare la maggioranza con la crisi di Governo, se non si trova un accordo sulla gestione dei fondi.
È stallo sul Recovery Fund. Chi sarà il primo a fare un passo indietro? Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte o il leader di Italia viva Matteo Renzi? La situazione è questa: il premier ha proposto di istituire una task force di 6 manager e 100 tecnici per la gestione dei fondi che dovrebbero arrivare dall’Europa per l’Italia, ma l’ex sindaco di Firenze non ci sta e minaccia di scatenare una crisi di Governo se non verrà accontentato. Nel frattempo lo scontro si rende evidente anche in Aula. Ieri, martedì 8 dicembre, il secondo Consiglio dei ministri (Cdm) sul Recovery Plan è stato rinviato. Quello precedente, di lunedì 7 dicembre, si era chiuso alle due di notte senza un accordo.
In questa situazione Conte si trova alle strette. Da una parte non vorrebbe cedere alle minacce di Renzi, ma dall’altra preferirebbe evitare di arrivare al Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre con una maggioranza spaccata. Il nodo sul Recovery Fund quindi dovrà essere risolto nel prossimo Cdm, che a sua volta verrà convocato solo dopo la prova di oggi – mercoledì 9 dicembre – al Senato, dove il numero uno di Palazzo Chigi dovrà dimostrare la stabilità dell’esecutivo sulla riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità. Un punto, quest’ultimo, su cui il Governo ha litigato fino a ieri ma su cui sembra aver trovato finalmente un accordo.
Nonostante la diplomazia del premier, Renzi continua a minacciare il Governo. Ieri – martedì 8 dicembre – ha annunciato che è disposto ad arrivare a una rottura piuttosto che cedere sulla task force per il Recovery Fund. “La struttura di Conte pensa a moltiplicare le poltrone ma non va a dare una mano ai disoccupati, ai negozi chiusi a chi soffre. Se le cose rimangono come sono voteremo contro. Per noi un ideale vale più di una poltrona”, ha spiegato l’ex presidente del Consiglio. Poi ha confermato che esiste la possibilità di una crisi di Governo: “Circa il rischio di una rottura, spero proprio di no, ma temo di sì”. Resta dunque fermo sulle sue posizioni, tanto da aver anticipato che non voterebbe la legge di Bilancio, se dovesse contenere un emendamento con “questo strappo alla democrazia”.
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Il tema Recovery Fund sembra essere un problema anche sul fronte europeo. Dopo mesi di trattative – iniziate a partire dalla scorsa estate – l’approvazione della misura e dunque lo sblocco dei fondi sembra allontanarsi, invece che avvicinarsi. E il rischio è che l’Italia perda la possibilità di ottenere i 209 miliardi per cui la politica aveva esultato trionfalmente a luglio. Il problema principale adesso è lo stallo sul rispetto dello stato di diritto che ha causato il veto di Ungheria e Polonia.
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La bozza del Pnrr è stata presentata dal premier Conte nel primo Cdm sul Recovery Fund, lunedì 7 dicembre, poi sospeso per la notizia di positività della ministra Luciana Lamorgese. A parte il nodo da sciogliere sulla gestione dei progetti, le linee guida sembrano esserci. Tanto che, alle domande sul rispetto delle tempistiche per la consegna del Piano, il presidente del Consiglio ha sempre rassicurato. “È stata pubblicata con grande evidenza su un quotidiano una fake news: l’Italia in ritardo sul piano di resilienza. Abbiamo verificato e quella notizia non viene neppure da Bruxelles, è stata inventata di sana pianta”, aveva già spiegato verso la metà di novembre. Eppure l’instabilità del Governo e le discussioni continue all’interno della maggioranza non danno certo sicurezza sul fatto che l’Italia otterrà, stanzierà e spenderà – con giudizio – i fondi europei.
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