Il nuovo report dell’Iss: la Regione dove si muore di più per Covid-19 è la Lombardia, ma peggiorano i dati di Campania e Sicilia. La maggior parte dei pazienti è over 80, con almeno una patologia pregressa.
L’Istituto Superiore della Sanità ha di recente pubblicato un rapporto relativo alle caratteristiche dei pazienti deceduti mentre erano risultati positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia. L’analisi si basa sui dati contenuti nelle cartelle cliniche e nelle schede di morte ISTAT recanti le cause di decesso dei pazienti. Il report traccia dunque un vero e proprio identikit di 55.824 pazienti contagiati dal coronavirus che non sono riusciti a sconfiggere la malattia. I dati sono aggiornati al 2 dicembre 2020.
Secondo quanto riportato dal reporto dell’Iss, 4 vittime su 10 risiedevano in Lombardia – dato che corrisponde a un totale di 22.252 (39,9%) dei decessi. In buona sostanza, la Lombardia è risultata essere la Regione più drammaticamente colpita in Italia, un triste primato che l’ha accompagnata nella prima ondata della pandemia, e che continua anche in questa seconda impennata di casi. A seguire, le Regioni che hanno registrato il maggior numero di morti sono l’Emilia Romagna (10,4%), il Piemonte (10%), il Veneto (7%), il Lazio (4,5%), la Liguria e la Toscana (4,3%). Basilicata e Molise, invece, con il loro 0,2% dei decessi da Covid-19, si posizionano in fondo alla classifica.
Ad ogni modo, la prima e la seconda ondata di contagi sono caratterizzate da una diversa distribuzione territoriale, tanto che se la Lombarda è passata dal 47,6% dei morti (quasi la metà del totale) di marzo-maggio al 27% di ottobre-dicembre, le Regioni più a sud hanno assistito a una tendenza inversa. Il Lazio, non a caso, è passato dal 2,4% della prima ondata al 7,9% della seconda; la Toscana dal 3% al 6,4%; la Sicilia è passata dallo 0,9% al 6,2%; la Campania, dall’1,4% al preoccupante 8,3%.
Il report tiene conto anche dell’identikit dei pazienti che hanno perso la battaglia contro il Covid-19. Secondo quanto rilevato dall’Iss, l’età media delle vittime si attesta sugli 80 anni. Diverso il caso delle donne, però: le pazienti morte a causa del Covid-19 sono 23.596 (42,3%), con un’età media di 85 anni – quindi più alta rispetto a quella degli uomini. Tra i deceduti, solo l’1,2% (657) era under 50, e tra questi 163 avevano meno di 40 anni (nello specifico, 102 uomini e 61 donne di età compresa tra 0 e 39 anni).
Dei pazienti under 40, la maggior parte di loro (119) presentava gravi patologie preesistenti, quali problematiche cardiovascolari, renali, psichiatriche, legate al diabete all’obesità. Ad ogni modo, complessivamente il 97% di tutti i deceduti a causa del Covid-19 presentava almeno una patologia cronica preesistente: come spiegato nel report, infatti, solo 180 pazienti (3,1%) presentavano zero patologie. Sarebbero invece 712 (12,4%) coloro che presentavano presentavano 1 patologia; 1060 (18,5%) coloro che presentavano 2 patologie; 3774 (65,9%) i pazienti che presentavano 3 o più patologie.
Tra le patologie preesistenti più diffuse tra le vittime di Covid, è stata registrata l’ipertensione (66%), seguita dal diabete (29,2%), dalla cardiopatia ischemica (27,8%) e altre patologie di origine cardiaca – come la fibrillazione atriale (24,2%), lo scompenso cardiaco (16,3%) e l’ictus (11,6%).
Il rapporto dell’Iss illustra inoltre come i pazienti deceduti risultati positivi al SARS-CoV-2 provenivano dal proprio domicilio (53,3%), prima di essere ricoverati in ospedale. Sarebbe invece il 22,9% dei pazienti a provenire da strutture residenziali socio-sanitarie o socio-assistenziali (quali RSA o case di riposo), mentre il 18,6% dei morti proveniva da altre strutture ospedaliere.
Come illustrato nel rapporto dell’Iss, i sintomi maggiormente osservati prima del ricovero dei pazienti deceduti sono la dispnea (73%), la febbre (71%) e la tosse (34%). Sarebbe invece l’8,1% dei pazienti ad essersi presentato come asintomatico prima del ricovero ospedaliero. Ad ogni modo, l’insufficienza respiratoria è stata la complicanza più comune (si parla del ben 94,1% dei casi), seguita da danno renale acuto (23,6%), sovrainfezione (19,3%) e danno miocardico acuto (10,8%).
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Il personale medico sanitario ha trattato i pazienti positivi sfruttando la terapia antibiotica, la più usata nel corso del ricovero (si parla dell’85,9% dei casi), con uso occasionale anche di terapie antivirali (50,2%) e steroidee (49,8%). Per 1384 casi (24,5%), però, i medici hanno ritenuto necessario usare tutte e tre le terapie. Al 4,1% dei pazienti deceduti, invece, è stato somministrato del Tocilizumab come terapia. Infine, riporta ancora il report, dal ricovero del paziente positivo al suo decesso passavano in media 12 giorni.
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