“Nell’attuale contesto di emergenza sanitaria, il dono dell’Indulgenza plenaria è particolarmente esteso agli anziani, ai malati, agli agonizzanti e a tutti quelli che per legittimi motivi siano impossibilitati ad uscire di casa“: è quanto si legge nel decreto che stabilisce, per volere del Papa, un anno dedicato a San Giuseppe.
L’indulgenza è concessa a chi “distaccato dal peccato e con l’intenzione di adempiere, non appena possibile, le tre solite condizioni, nella propria casa o là dove l’impedimento li trattiene”, reciterà un atto di pietà in onore di San Giuseppe. Le condizioni sono: Confessione, Comunione e preghiera. La concessione dell’indulgenza, anche rimanendo a casa, considerata la pandemia da Covid-19, risponde ad una delle esigenze che si è posta la Chiesa in questi mesi, con tante persone morte senza neanche l’estrema unzione o la possibilità di confessarsi, e nel periodo di lockdown anche senza i funerali.
L’indulgenza plenaria, una delle caratteristiche principali dei Giubilei (in questo caso l’anno speciale dedicato a San Giuseppe), indica la remissione non dei peccati, ma di tutte le pene che rimangono da scontare, quando le colpe siano già state perdonate. Per ottenere l’indulgenza plenaria, “oltre l’esclusione di qualsiasi affetto al peccato anche veniale”, come si legge nei documenti della Penitenzieria Apostolica, è necessario adempiere le tre condizioni: confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Papa.
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Nell’anno speciale indetto da oggi, per volere di Papa Francesco, occorrerà in aggiunta a queste condizioni compiere un atto di preghiera in onore di San Giuseppe. Da un punto di vista storico, le indulgenze derivano dall’istituto medioevale della ”commutazione”, che introduceva la possibilità di trasformare le dure penitenze allora imposte in pagamenti in denaro. L’indulgenza, che appare nel 1091, richiedeva invece, per sciogliere gli obblighi di penitenza, opere di pubblica utilità come la costruzione di chiese.