La contradditoria storia di Samuel Little, il più prolifico serial killer degli Stati Uniti. L’uomo ha confessato 93 omicidi, ma le forze dell’ordine sono riuscite a verificare solo 50 confessioni – molte altre sono ancora in attesa di conferma finale.
Continuano ad emergere nuovi dettagli e informazioni su tantissimi casi di omicidio perpetrati negli Stati Uniti. L’uomo che sta confessando i suoi segreti alla polizia è Samuel Little, ora ritenuto il serial killer più feroce nella storia americana, avendo confessato di aver ucciso 93 persone, praticamente tutte donne, in oltre quattro decenni e in ben 19 Stati diversi.
Finora, i funzionari hanno identificato positivamente più di 50 delle vittime dichiarate da Little. Sebbene sia stato arrestato dozzine di volte e collegato ad almeno otto aggressioni sessuali, tentati omicidi e omicidi, l’uomo, ormai 80enne, è riuscito ripetutamente a scivolare attraverso le crepe del sistema giudiziario, di solito beneficiando della percepita inaffidabilità delle sue vittime, della loro posizione di “emarginate” che rivestivano agli occhi dell’opinione pubblica.
I ritratti delle sue vittime, morte strangolate
Come viene raccontato da The Waghington Post, Samuel Little è attualmente rinchiuso a vita in una prigione della California. L’uomo ha ormai 80 anni, e collabora con la giustizia da due, a partire dal maggio 2018. Gli agenti stanno quindi sfruttando tutte queste informazioni — che ritengono attendibili al 100% — per riaprire i tanti casi irrisolti che hanno macchiato il Paese. Lo stesso Little, allora, avrebbe raccontato alla polizia che nella sua mania omicida avrebbe intenzionalmente preso di mira donne che non sarebbero mai mancate a nessuno, se fossero scomparse. Non a caso, le vittime della violenza di Little erano tutte prostitute, persone con dipendenze, donne che vivevano ai margini della società, e per la maggior parte afroamericane.
Un modus operandi, questo, che ha messo seriamente in difficoltà le autorità giudiziare, da anni sulle tracce del serial killer – più volte catturato, ma sempre lasciato fuggire per mancanza di prove concrete. Samuel Little uccideva le sue vittime per il solo gusto di farlo, per il solo gusto di strappare la vita di quelle donne. Un macabro istinto, il suo, che aveva scelto di soddisfare cercando di non destare l’attenzione dell’opinione pubblica: e ci è riuscito. “Avevo un grande desiderio… di strangolarla. Credo di aver semplicemente perso il controllo”, ha spiegato durante un interrogatorio con la polizia, oltre 40 anni dopo il crimine avvenuto.
Nelle oltre 700 ore di confessioni registrate, Little si è dichiarato colpevole di ben 93 omicidi, tutti compiuti nell’arco di 30 anni e in 19 Stati diversi. Rinchiuso in un carcere californiano, dove sconta diversi ergastoli, l’uomo ha fornito alla polizia i dettagli esatti di tutti i suoi omicidi, permettendo di identificare oltre 50 vittime – con resoconti e ritratti disegnati da lui stesso nel corso degli anni. Quelle donne, ha sottolineato più volte l’anziano, le ha uccise tutte per strangolamento.
La giustizia gli ha permesso di uccidere
Mentre la maggior parte dei crimini commessi da Little non sono riusciti a suscitare una dovuta attenzione da parte della polizia – del resto, a chi importa la scomparsa di una donna afroamericana? – in alcuni casi le autorità sono riuscite a ricollegarlo a diversi episodi di violenti stupri, uccisioni o aggressioni. Tuttavia, la giustizia americana non è mai riuscita realmente a mettergli le manette ai polsi, soprattutto per la mancanza di prove concrete e di testimoni attendibili. Quando questi si presentavano in tribunale, infatti, i giurati spesso non erano inclini a credergli; più di una volta, ad esempio, Little ha battuto le accuse di stupro sostenendo che la sua vittima aveva accettato del denaro per una prestazione sessuale.
Caso eclatante quello avvenuto a San Diego, città dove Little è stato processato per aver aggredito una donna in macchina, dopo la denuncia di una testimone oculare. Entrambe le donne hanno testimoniato contro di lui in tribunale, ma lavorando come prostitute non sono state credute. Little ha scampato la condanna raccontando che il suo unico crimine era stato “picchiare una donna nera durante una disputa su una transazione sessuale consensuale”.
Aveva capito il modo, allora, per raggirare la giustizia. Per questo nei suoi anni più prolifici, Little tornava a colpire più volte anche nelle stesse città, evitando sempre, però, di scegliere persone la cui scomparsa avrebbe destato troppa attenzione. “Non sarei mai andato in un quartiere bianco a uccidere una ragazzina adolescente“, ha raccontato durante le sue confessioni, svelando una strategia che gli ha permesso per tutti quegli anni di uccidere a suo piacimento. “Se quelle donne fossero state benestanti, bianche, mondane, il suo sarebbe diventato il caso più importante nella storia degli Stati Uniti. Invece lui puntava altrove”, ha spiegato il criminologo Scott Bonn per il Washington Post. Proprio in questo modo, allora, Little si è garantito decenni di impunità, evidenziando tutte le contraddizioni della giustizia criminale americana.
Del resto, i numeri parlano chiaro. Su 93 vittime, almeno 68 erano donne afroamericane, tre ispaniche e una nativa americana. Molte di loro avevano problemi mentali, mentre una vittima era transgender. “Erano piatti succulenti che potevo gustare senza rischiare una pena”, avrebbe confessato Little durante un interrogatorio in Ohio. Perché di quelle povere donne, la giustizia americana ha ritenuto non fosse necessario occuparsene a dovere. L’ultimo omicidio, spiega il quotidiano americano, è stato commesso dal killer nel 2005 a Tupelo, in Mississippi. “Se Little non avesse confessato, nessuno di questi casi sarebbe stato risolto“, ha affermato davanti ai gionalisti Angela Williamson, funzionaria del dipartimento di Giustizia che ha seguito le indagini. E molti di questi, tra l’altro, rimangono ancora in sospeso: in alcuni casi perché si tratta di omicidi di cui non si è mai saputo niente, e in altri perché la scomparsa delle vittime non è stata mai reclamata nemmeno dai loro stessi famigliari.
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Un’infanzia turbolenta
Samuel Little è in una cittadina della Georgia nel 1940 in una famiglia afroamericana, abbandonato dalla madre adolescente a pochi mesi di vita. La sua indole violenta si materializza già intorno ai 7-8 anni, quando (dopo essersi trasfeito in Ohio) sviluppa il desiderio di strangolare qualcuno. Diventa ossessionato prima di una sua insegnante, poi di una ragazzina sua conoscente. Dai 13 anni in poi la sua fedina penale si macchia di diversi reati, a partire dal furto di una bicicletta, fino al aggressione e all’adescamento di una una prostituta a Bakersfield o della guida in stato di ebbrezza a Los Angeles.
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La sua vita la trascorreva entrando e uscendo dal carcere, dove è stato rinchiuso per mesi così come anche per anni. Ma non è mai entrato dentro con l’accusa di omicidio, tanto che quando veniva rimesso in libertà continuava indisturbato a nutrire quel folle desiderio di strangolare le sue vittime.
Viene riportato che all’età di 35 anni si era reso protagonista già di una decina di omicidi, tutti mai attribuiti alla sua persona se non dopo le sue stesse confessioni. Confessioni che, poco alla volta, stanno permettendo agli inquirenti di ricomporre i tasselli di quei casi irrisolti da anni, e di dare conforto ai famigliari che si sono visti strappare via, di punto in bianco, la vita di una loro cara. Il tutto, però, a una determinata condizione: non essere sottoposto a processo per un’eventuale condanna a morte.