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Cronaca

Long haulers, i pazienti Covid che non guariscono dopo mesi di positività

I long haulers sono pazienti che continuano ad accusare disturbi per mesi, anche se leggeri. Si tratta di casi che possono raggiungere il 10% dei positivi nel complesso. I sintomi possono arrivare anche a 60 giorni di durata.

I long haulers non sono poi così rari – meteoweek.com

L’emergenza Covid ha colpito diversi milioni di persone in giro per il mondo. La seconda ondata è ancora in atto in ormai tutte le nazioni, con pazienti che risultano positivi ai tamponi e sono costretti, nella migliore delle ipotesi, ad alcuni giorni di isolamento in casa. Nel peggiore tra i casi, invece, chi contrae il Covid è costretto a ricorrere al ricovero in terapia intensiva. Ma non mancano le situazioni in cui non bastano le due settimane di incubazione del virus per riuscire a ottenere il risultato più atteso, ovvero l’esito negativo dell’ultimo tampone.

Si tratta di quelli che sono stati ribattezzati ‘long haulers’. Letteralmente significa ‘lunghi trasportatori’, e già dal nome si capisce che si tratta di singolari casi di soggetti che risultano positivi al Covid-19 per molto più tempo rispetto al previsto. I casi più gravi, almeno dal punto di vista della durata, possono arrivare addirittura a sessanta giorni. Stando a una ricerca condotta circa un mese fa e pubblicata sulla rivista Clinical Microbiology and Infection, i long haulers rappresentano una fetta pari al 10% dei contagiati su scala mondiale.

Ufficialmente si tratta di persone che riescono a risultare negative al tampone, ma si portano ancora dietro sintomi che fanno pensare al Covid-19. Questi possono essere stanchezza, debolezza, fiato corto, eritemi, confusione e perdita di memoria. In particolare l’ultima, ribattezzata la “nebbia nel cervello”, è uno dei sintomi più gravi tra quelli noti. E poi ce ne sono altri un po’ più rari, come i dolori muscolari, lo stato d’ansia e addirittura la caduta dei capelli. Dei long haulers se ne parla poco, ma non si tratta poi di casi così rari.

La verifica dei sintomi da Covid può partire dalla gola – meteoweek.com

I ricercatori francesi del Tours University Hospital hanno effettuato uno studio tra marzo e giugno. Hanno coinvolto 150 pazienti non critici, e circa un centinaio di loro hanno riportato sintomi fino a 60 giorni dopo essersi ammalati. Sono invece poco più di 50 quelli che si sono trovati in condizioni peggiori rispetto a quando era iniziata la loro infezione. E sono quelli già noti, i sintomi emersi tra i pazienti coinvolti in questo studio: perdita dell’olfatto e del gusto, mancanza di respiro e affaticamento. I pazienti avevano un’età che oscilla tra i 40 e i 60 anni.

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Ma come ci si sta muovendo in Italia sul fronte dei long haulers? Intanto è stato creato un gruppo chiuso su Facebook, il cui nome è “Noi che abbiamo sconfitto il Covid”. A fondarlo è stata Morena Colombi, operaia originaria di Agrate che è stata a lungo paziente Covid e poi sintomatica ma negativa. “Le adesioni sono arrivate – ha dichiarato – e in breve tempo mi sono accorta che tutti, chi più chi meno, abbiamo gli stessi malesseri. Molte volte ci liquidano come depressi o ipocondriaci. I nostri problemi invece sono reali, ma nessuno sembra volerci dar credito”.

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Come si può uscire da questa situazione, che è grave fino a un certo punto ma è comunque complessa da gestire? Dagli Stati Uniti arriva quello che finora è l’unico rimedio, o comunque quello più immediato. Decine di pazienti, dopo l’esito negativo del primo tampone dopo l’incubazione, vengono trattati con una serie di farmaci, tra cui anti-istaminici H1/H2 come Pepcid/famotidina e Zyrtec/cetirizina. A essi viene aggiunto un rinforzo portato da vitamina D e C. Per il momento questo rimedio sembra fare effetto, ma è sempre meglio chiedere un consulto medico prima di avviare il trattamento.

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