Cittadino italiano, residente a Luzzi, accusato di terrorismo islamico: aveva scaricato dal darknet i manuali che servivano per costruire ordigni esplosivi artigianali e le dispense di auto-addestramento per compiere attentati. È il secondo caso nello stesso paese.
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In particolar modo, l’indagine è stata avviata grazie alla segnalazione, acquisita tramite collaborazione internazionale, della condivisione effettuata dall’uomo di materiale su una piattaforma digitale di contenuti in lingua araba, di propaganda del terrorismo di matrice jihadista. Nel corso delle intercettazioni telematiche, la Polizia di Stato ha verificato come Domenico Giorno disponesse di numerosi account su piattaforme social, tra cui Telegram, Rocket Chat, Riot, tramite le quali partecipava a gruppi chiusi di connotazione jihadista per accedere ai quali bisognava essere accreditati. L’uomo, che aveva imparato bene l’arabo e si era fatto crescere una folta barba, ha ora un quadro indiziario a suo carico molto critico, aggravato anche dalle risultanze delle intercettazioni ambientali e telefoniche e dal contenuto di numeroso materiale sequestrato nel corso delle indagini. Difatti, sono stati rinvenuti anche video ed immagini cruente di esecuzioni dell’Isis, riviste ufficiali delle agenzie mediatiche dell’Isis, di Al Qaeda e altri gruppi terroristici.
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Così, per la seconda volta il paese di Luzzi è al centro delle cronache per vicende che riguardano il terrorismo islamico, anche se gli stessi inquirenti sembrano confermare che tra i due episodi non ci sia collegamento. La prima vicenda riguarda invece un giovane marocchino con l’accusa di essere un aspirante “Foreign fighter” che avrebbe voluto raggiungere la Siria per unirsi all’Isis. Il giovane marocchino fu arrestato dalla Digos di Cosenza e dal Servizio centrale antiterrorismo nel gennaio 2016 in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare del gip di Catanzaro. In primo grado, il gup distrettuale di Catanzaro, al termine del rito abbreviato, aveva emesso una sentenza di condanna a 4 anni e sei mesi di reclusione. Sentenza che è poi stata confermata in Appello. Tuttavia, il 13 dicembre 2019, la prima sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto la condanna non meritevole di conferma, rimandando gli atti alla Corte d’Appello di Catanzaro per un nuovo giudizio.
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