“Restiamo in casa”, era il motto del lockdown di marzo. Un invito a difendersi dal coronavirus, per molti, e un pericolo tangibile per altre persone. Durante la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne” un’attenzione particolare va al lockdown, che per molte è diventato una vera e propria trappola. Lo dimostrano i dati.
Fuori una misteriosa pandemia, dentro casa atti di violenza. Un fuoco incrociato che per molte ha significato, semplicemente, esser lasciate in balia dei partner. Durante la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” emerge limpido il conto delle vittime di violenza domestica. Stando a quanto emerso dai dati Eures, nei primi dieci mesi dell’anno sono stati 91 i femminicidi commessi. Questo dato si traduce in una donna uccisa, in media, ogni tre giorni. Tuttavia, secondo il report del Servizio analisi criminale del Dipartimento di Pubblica sicurezza del Viminale, i reati spia della violenza di genere (atti persecutori, maltrattamenti contro familiari e conviventi…) riferiti ai primi otto mesi dell’anno sono diminuiti. La diminuzione si registra in relazione agli stessi mesi del 2019 e ai primi mesi dell’anno. Una diminuzione che non si riconferma alla fine del lockdown, quando i numeri tornano a salire. Questa flessione può avere una sola interpretazione: le donne – chiuse in casa con i loro carnefici – non hanno denunciato. Questa ipotesi viene confermata da un altro dato: nei mesi da gennaio ad agosto i femminicidi sono aumentati del 4%, raggiungendo il 44% del totale (a fronte del 34% precedente). Un dato che sale in maniera inquietante se si guarda nello specifico agli omicidi in ambito affettivo o famigliare: i femminicidi rappresentano, oggi, il 70% delle morti.
E oltre alle morti, aumentano anche le chiamate al numero verde 1522, centralino del Dipartimento Pari opportunità, che tra marzo e maggio ha registrato un incremento delle chiamate del +119% rispetto allo stesso periodo del 2019. Eppure, come sottolinea il Sole 24 Ore, solo il 14,2% delle vittime che ha chiesto aiuto al 1522 ha denunciato. Insomma, da un lato diminuiscono le denunce, dall’altro aumentano morti e richieste di aiuto. L’Istat rileva: “La convivenza stretta con il proprio carnefice che può avere innescato nella vittima la spinta a cercare aiuto”. Dall’altro lato, proprio quella stessa convivenza potrebbe aver spinto a non sporgere denuncia ufficiale. Proprio per questo, per accompagnare la donna vittima di violenza nel percorso di denuncia e per proteggerla da eventuali ripercussioni, nel 9 agosto 2019 è entrato in vigore il Codice rosso. Un percorso protetto che vede già 3.932 indagini aperte. Su questo arriva il commento del premier Conte è cauto: “Alcuni dati cominciano che qualcosa comincia a funzionare meglio che in passato, ma siamo consapevoli che il Codice rosso non è la panacea e che serve un approccio sinergico. Il percorso da fare è ancora lungo”.
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In un incontro al Senato sui centri anti-violenza il Giuseppe Conte avrebbe anche fatto un mea culpa, commentando i dati: “A causa delle misure limitative abbiamo involontariamente creato profondo disagio”. I fenomeni di femminicidio sono “triplicati durante il lockdown“, arrivando ad “un caso ogni due giorni. Anche a fronte di un calo degli omicidi”. Poi il premier promette: “Il governo è impegnato nella implementazione di azioni positive per le donne, anche per contrastare il dato che mette in luce il triste primato dell’Italia in quanto a disoccupazione femminile. E’ infatti anche su questo terreno che si elabora una strategia concreta per combattere la violenza di genere. Ci sono infatti fattori indiretti che non sono irrilevanti” per contrastare la violenza sulle donne e quello della “lotta alla disoccupazione femminile gioca una partita importante”. Poi ancora: “possiamo considerare modifiche emendative per rafforzare finanziamenti alle Case delle donne“, i centri antiviolenza.
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