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Politica

Matteo Renzi: “Un rimpianto? Non essermi levato di torno dopo il referendum”

Matteo Renzi in un’intervista al Corriere riesamina la sua vicenda politica. Dalla carica di premier al referendum costituzionale, per finire con il patto del Nazareno, rotto a seguito della nomina del presidente della Repubblica. 

MeteoWeek.com (da Getty Images)

Il leader di Italia Viva ed ex premier Matteo Renzi torna al centro del dibattito: il presidente della Repubblica Mattarella lancia un appello all’unità nazionale, Fi si dice pronta a dialogare con la maggioranza (incassando anche l’emendamento salva-Mediaset), e Italia Viva e Pd flirtano con Berlusconi, per creare una nuova intesa soprattutto in funzione della prossima legge di Bilancio. Così si delineano scenari diversi: dal rimpasto di governo alla maggioranza allargata, fino a una semplice collaborazione di Forza Italia, che resterebbe all’opposizione. E a ormai 4 anni dal suo primo ingresso a Palazzo Chigi, Matteo Renzi tira le somme del suo excursus politico in un’intervista sul Corriere. Al centro del discorso, anche quel tanto contestato patto del Nazareno, che ora potrebbe tornare in voga.

Referendum e rimpianti

Sulla sua carica da presidente del Consiglio Matteo Renzi non ha dubbi: tante le riforme fatte, grande l’impatto sulla società, nonostante i pareri discordanti e il fuoco spesso amico. “Nessuno è profeta in patria”: sembra questo il senso delle parole di Renzi (“Ho realizzato riforme che forse saranno più apprezzate ora di quanto non lo siano state in passato”). Tra le riforme che, secondo Renzi, non sono state accolte nella maniera adeguata, anche e soprattutto il referendum costituzionale. Quello stesso referendum per il quale aveva affermato: “Se vince il no lascio la politica”. Ed effettivamente, sembra quella la ferita che non si rimargina, anche per quanto riguarda i rimpianti: “Uno solo, forse. Non essermi levato di torno, e per sempre, subito dopo la sconfitta al referendum. Avevo tre offerte di lavoro dagli Usa, avevo già optato per una. Poi tutto lo stato maggiore del Pd mi convinse che la legislatura si sarebbe interrotta qualche mese dopo e che avremmo votato in primavera, con me alla guida di un partito che aveva ancora il 35 per cento”. Eppure il governo Gentiloni riuscì a restare a galla fino alla fine della legislatura. Ma su questo l’attuale leader di Italia Viva commenta: “Il renzismo muore non al referendum, come qualcuno pensa. Ma dopo, con le liti sulle alleanze e le alchimie, lo ius soli, il dibattito sull’immigrazione. È dopo giugno 2017, non dopo il referendum del dicembre 2016, che il Pd inizia a crollare”.


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Il patto del Nazareno

Corsi e ricorsi storici. L’elezione del presidente della Repubblica del 2015 e il patto del Nazareno. Proprio nei giorni in cui Renzi invoca una nuova collaborazione con Forza Italia e Berlusconi, anche in virtù dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica nel 2022, proprio in questi giorni Renzi torna a parlare del momento storico in cui si ruppe il vecchio patto del Nazareno tra Pd e Fi. E si ruppe proprio dopo la nomina di Mattarella. Da un lato il sostegno al nome di Mattarella da parte di Matteo Renzi, dall’altro un presunto accordo tra D’Alema e Berlusconi sul candidato Giuliano Amato. Renzi racconta la sua versione dei fatti sulla rottura del patto: “Credo che Silvio si muovesse tanto perché aveva a cuore il tema della grazia a Marcello Dell’Utri; che però, gliel’ho detto mille volte, nessun presidente della Repubblica, votato o non votato da Forza Italia, avrebbe mai concesso. Comunque, a quel punto, è convinto di avermi messo spalle al muro. Mi dice: ‘Non hai neanche il problema di mettere d’accordo la minoranza del tuo partito su Amato perché con D’Alema ci ho già parlato io’. La storia sarebbe andata in modo diverso, com’è noto”.

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