Le regioni chiederanno di ridurre a cinque il numero di parametri per stabilire le zone differenziate. Così facendo, le regioni in zona rossa sarebbero molte meno. E il Cts chiede un sistema più funzionale ed efficace.
Continua a far discutere il provvedimento preso dal Governo, in merito alla differenziazione delle regioni italiane in tre zone “cromatiche”. Zona rossa, arancione e gialla: l’Italia è spaccata in tre parti, in base agli ormai celebri ventuno parametri che stabiliscono la gravità della situazione a livello sanitario. Il tutto mentre gli ultimi bollettini diffusi dal Ministero della Salute e dalla Protezione Civile fanno emergere un quadro un po’ più rassicurante. Da qui la richiesta al Governo, da parte di diversi presidenti di regione, di rivedere i piani.
Nella giornata odierna è previsto un altro incontro tra il Consiglio dei Ministri e i governatori. I ventuno parametri per stabilire se una regione merita di restare in zona rossa piuttosto che in arancione o in gialla, sono considerati eccessivi. Di contro la conferenza dei presidenti di regione hanno proposto di puntare esclusivamente su cinque punti per stabilire la classificazione dei territori. Ovvero rapporto positivi/tamponi, indice Rt (indice di trasmissione), tasso occupazione posti letto in terapia intensiva e area medica (gli altri reparti oltre alla rianimazione dove ci sono pazienti Covid), numero e tipologie di operatori dedicati al contaci tracing.
Inoltre le Regioni hanno chiesto che sia sufficiente il responso del tampone antigenico per isolare gli asintomatici. Anche perchè i tamponi molecolari prevedono tempi eccessivamente lunghi, specialmente per un positivo senza sintomi, per far emergere un risultato. Inoltre è richiesto l’utilizzo dei suddetti tamponi molecolari solo per i soggetti che fanno emergere sintomi di Covid. In ogni caso, la sensazione è che non cambierà nulla nella definizione delle tre zone cromatiche. Il ministro della Salute Roberto Speranza, infatti, sostiene che i 21 parametri attualmente in vigore restano affidabili.
Zona rossa, quali parametri si seguono
Ma quali sono i ventuno parametri sui quali si discute ormai da diversi giorni? Questi sono separati in tre diverse aree indicate già nel decreto ministeriale dello scorso 30 aprile. Il primo settore è la capacità di monitoraggio, il secondo è la capacità di accertamento diagnostico, di indagine e di gestione, l’ultimo è la trasmissibilità dei contagi e tenuta dei servizi sanitari. Per fare qualche esempio, al primo settore appartengono il numero dei casi sintomatici notificati al sistema di sorveglianza e il numero notificati per mese con storia di ricovero in ospedale in cui sia precisata data di ricovero in rapporto al totale di casi con storia di ricovero in ospedale notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo.
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Il secondo gruppo trova altri sei indicatori, tra i quali spiccano la percentuale tamponi positivi e il tempo che trascorre tra la data di inizio sintomi e la data di diagnosi. Infine, per quanto riguarda il terzo settore troviamo tra gli altri sovraccarico della rete ospedaliera, non solo nel momento ma anche come previsione. Emerge poi la presenza di quattro scenari, ognuno dei quali prevede il rispetto – effettivo o mancato – dei parametri. Se si finisce nello scenario 3 o nel 4, allora la regione rischia di rientrare tra quelle a zona rossa o arancione.
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Al momento è attesa per domani la riunione del Consiglio dei Ministri, del Comitato tecnico scientifico e dell’Istituto superiore di Sanità, per stabilire alcune eventuali modifiche all’attuale assetto del Paese. A rischiare di più è la Puglia, partita in zona gialla fin dall’inizio del provvedimento e che teme di finire in zona rossa. Il presidente di regione Emiliano ha cercato di giocare d’anticipo, mettendo in rosso le provincie di Foggia e Bat. Sotto la lente di ingrandimento sono finite anche Basilicata e Liguria, anche se quest’ultimo caso sembra il meno grave.