Virginio è morto da solo in una stanza di ospedale con il Covid che gli ha divorato i polmoni. Come tanti, si penserà, purtroppo. Il dubbio che attanaglia il figlio Ivano però è che per lui non si sia fatto tutto il possibile per salvarlo, quindi che le cure gli siano state negate.
Che il sistema di assistenza per questa terribile pandemia sia miseramente fallito, al punto da non riuscire a offrire la legittima assistenza a un uomo è ormai risaputo. Ma anche questa volta un anziano, forse avrebbe potuto cavarsela. Virginio Guidi era un cinesellese di 85 anni. “Sempre sano come un pesce, tanto che non era mai stato ricoverato in un ospedale”, racconta il figlio Ivano. L’8 novembre scorso Virginio si è ammalato di Coronavirus il quale gli ha provocato dapprima la febbre, poi debolezza, fino a ridurre le sue capacità respiratorie. Per tre volte i familiari sono ricorsi ai sanitari prima che venisse deciso il ricovero al policlinico MultiMedica di Sesto San Giovanni. “La prima volta, il 10 novembre, i lettighieri del 118 sono venuti e dopo aver constatato che la sua saturazione era buona hanno deciso di lasciarlo nel letto di casa. Un giorno più tardi il nostro medico di famiglia ha richiesto l’intervento di un Usca, il medico di continuità assistenziale che lo ha visitato davvero per pochi istanti, senza nemmeno auscultargli i polmoni. Quindi ha disposto di dargli l’assistenza dell’ossigeno, senza chiedere il ricovero. Soltanto alla terza chiamata siamo riusciti a ottenere il ricovero, ma forse era già troppo tardi”, racconta il figlio Virginio disperato.
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Nessuno lo ha mai detto ai familiari di Virginio, ma la sensazione è stata quello di sentirsi di troppo. Questo perché le strutture scarseggiano e un anziano è stato trattato come un caso “non urgente”. Dal 12 novembre Virginio è stato ricoverato nel reparto Medicina al terzo piano del MultiMedica di Sesto San Giovanni. Qui la sua situazione è andata progressivamente peggiorando, tanto che a un ceto punto è stato addirittura ritenuto “intollerante” al casco per l’ossigeno. Solo, malato e attorniato unicamente da personale medico sconosciuto e bardato da mascherine e occhiali, l’uomo aveva cominciato a dare segni di intolleranza per la situazione in cui si trovava. Sicuramente capibile vista la gravità.
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“Pensavamo che l’ospedale potesse essere il luogo più sicuro e adatto alla sua situazione in un misto di rabbia e di impotenza -. Ma ci siamo presto dovuti ricredere. Ho avuto una telefonata surreale con una dottoressa che con toni quasi di resa mi aveva comunicato di aver tolto il casco a mio padre dicendomi in modo chiaro che per lui un posto in terapia intensiva non c’era. Per un 85enne l’intubazione era controindicata, ma dalle sue parole la sensazione è che fosse ritenuta inutile”, racconta Ivano. Mercoledì la famiglia ha ricevuto la notizia che il papà si era aggravato, ma che il casco gli era stato tolto, probabilmente per l’intolleranza dell’uomo alla cura. Nonostante le insistenze del figlio, si è deciso di non intubarlo. Nella tarda mattina di ieri mattina è sopraggiunta la morte. In quel letto d’ospedale dove nessuno ha potuto parlargli o dargli l’ultimo addio.
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